sabato 30 agosto 2008

NOSTRO ORRORE QUOTIDIANO


Partiamo da un contrappunto illustre, il motto del dottor Pangloss: “Questo è il migliore dei mondi possibili”. Com’è noto, Pangloss è la caricatura dell’insigne filosofo tedesco Goffredo Leibniz, il quale, come tutti i metafisici, stravedeva. Detto con più rispetto per l’eterna Accademia: il filosofo, partendo da una definizione di Dio che sembra ovvia, ne tirava le conseguenze. L’ovvia definizione vuole Dio come Assoluta perfezione; indi, se un tale Dio è anche creatore, non può creare che un mondo degno della sua perfezione, e cioè perfetto tanto quanto concede l’“infinita differenza qualitativa” (altro topos della teologia) fra Creatore e creatura. Appunto, il migliore dei mondi possibili. Era così cieco, il dottissimo pensatore e matematico insigne? Non vedeva i mali del mondo, che sembrano sconfinati? Li vedeva, ma li smussava, ipotizzava gli altri possibili mondi come più congesti di malanni dell’unico scelto dal Creatore: il mondo presente, sol perché scelto secondo il “principio del meglio”, resta il migliore degli infiniti possibili. Niente di strabiliante: è il destino di tutti i metafisici prendere lucciole per lanterne. E offrire ai disincantati osservatori della micidiale realtà, come Voltaire, inesauribile materia di spasso satirico: quello che si gode nel volterriano Candido (peccato non ci sia un Voltaire per Emanuele Severino). Nel romanzetto il protagonista eponimo subisce ogni sorta di violenze e sofferenze insieme al suo pedagogo leibniziano, ma costui conclude sempre con quel ritornello, e vuole costringere il pupillo a ripeterlo. Finché l’innocente, fatto esperto dall’esperienza, non taglia corto e, spazzato via l’ottimismo illusionistico, conclude col modesto invito: “Bisogna coltivare il proprio orticello”. Con tanti saluti alla metafisica.
Dove andiamo a parare con quiesto preambolo ai cembali? Semplice: al rilievo, parzialissimo, del panglossismo quotidiano della politica italiana (ma, in verità, universale). La quale è piena di acciacchi e patologie, ma in bocca ai suoi Pangloss è sempre O.K. anche se qualche volta si presenta difficile. Una loro particolarità è quella di promuovere annunci e promesse alla dignità di fatti e realtà in fieri. In certi ambiti, poi, il gioco sporco del togliere con l’altra mano quel che si è dato con la prima viene semplicemente obliterato, e i canti di gloria rompono i timpani ai presunti beneficati da tutti i media video-sonori. Ma anche fuori della politica politicante homo sapiens sfoggia una strabiliante inventiva nel produrre violenza sofferenza menzogna.
Qui di seguito andiamo a proporre, per distinte categorie, una cernita di eventi che esemplano l’orrore del titolo. Segmentiamo il campionario secondo titoli che marcano qualità e fattispecie dei fatti selezionati.

Il lavoro che uccide. La truce aritmetica delle morti sul lavoro prosegue indisturbata a cumulare le sue vittime indifese. Una sorta di immolazione quotidiana a un barbarico dio cannibale. Da quel 6 dicembre che vide il sacrifico dei sette giovani bruciati dalla disinvolta Thyssen torinese non è passato giorno, quasi, senza nuove vittime. Il 3 marzo scorso ne conta ben cinque, uccise da una cisterna a Molfetta: a diabolico scherno delle tante ciarle politiche spese in difesa della sicurezza. Quasi rassegnati alla quota due-tre al dì, forse nessuno di noi immaginava possibile il caso Mineo, e invece, eccolo qua, con il cospicuo mastello dei sei padri di famiglia avvelenati da un’altra cisterna mefitica. Vien quasi da stropicciarsi gli occhi increduli: ma dove siamo, in che mondo viviamo, quale genere di civiltà è questa, che regredisce al livello delle arcaiche comunità sacrali fondate sui sacrifici umani a bulimici Moloch? Ma in realtà solo una distrazione frettolosa può farci meravigliare di quella che è una perfetta continuità: homo necans continua a fare quello che ha sempre fatto: uccide. Per tornaconto, con sprezzo della vita altrui. E nei modi più vari.
Chiediamoci cosa sia stato fatto per impedire queste atrocità. Risposta facile: poco nei fatti, molto negli annunci a flusso continuo, nelle promesse di rigore contro i padroni inadempienti, i caporali del lavoro nero, gli stragisti “bianchi” degli immigrati clandestini privi di difesa. “Se denuncio un caporale, poi devo sparire”, confessa uno di questi esemplari della carne in vendita. Aprendo un’altra finestra su questa carneficina: tante “morti in nero” non vengono alla luce, coperte da quel ricatto (al massimo fruttano un miserabile indennizzo ai parenti stretti, a meglio tapparne la bocca). La reattività dei responsabili, insomma, è tutta spostata verso il polo del fastidio conseguente: denunce, processi, indennizzo. E tende allo zero come sensibilità umana. Dal caso Mineo, intanto, altri morti (forse una ventina) hanno gonfiato la sconcia aritmetica: questo genere di orrore sembra godere di un futuro ferrigno.
Ma il lavoro uccide anche quando cessa: spetta ancora alla Thyssen il sinistro vanto di avere provocato il suicidio dell’operaio Luigi Roca per mancato rinnovo del contratto precario: accadde il 12 marzo scorso. Aveva 39 anni e lascia moglie e due figli bambini. Parole di disperato addio: “Ho perso il lavoro e la dignità”. La moglie, Barbara Agostino, 34 anni: “Ora sono sola ad allevare i figli, chi gli ha negato il lavoro avrebbe dovuto pensarci…”. L’ingenua: il chi evocato dallo sfogo ha ben altro cui pensare: il profitto, il business, il primo comandamento del decalogo capitalistico. E ormai sono diecine i suicidi per mancanza e perdita di lavoro. Moloch sogghigna.
Mercato di carne umana. Le facce dell’orrore sono come i rotoloni igienici di certa pubblicità televisiva: non finiscono mai. Nemmeno di stupire. Si sapeva del mercato della salute organizzato fra Regioni e cliniche convenzionate. Settore in cui primeggiano baluardi dell’intrallazzo non stop, come Sicilia, Calabria, Puglia, Campania, Lazio (senza escludere le non primatiste del centro-nord e della padania felix). Meccanismo semplice, scandito in due tempi e garantito da complicità trasversali: io, ospedale, minaccio tempi biblici per prestazioni diagnostiche o chirurgiche, l’utente ha fretta, lo dirotto presso le cliniche convenzionate, l’utente-paziente va, paga, se deve, il ticket, la clinica presenta il conto, gonfiato secondo accordi felloni, e la Regione, generosa elargistrice del denaro altrui (di noi contribuenti vampirizzati, anche se miseri pensionati), paga cinque o più volte il costo previsto dalla struttura pubblica. Al cui funzionamento occorre dunque procurare difficoltà di ogni sorta. Al dunque, quel tanto di normalità e vitalità dei pubblici ospedali è sospeso alla competenza e buona volontà di minoranze sempre più magre. E insidiate da tentatori mefistofelici. Tra i quali, come “Cittadinanza attiva” e il correlato “Tribunale per i diritti del malato”, includeremmo lo scandaloso “Intra moenia” (ce ne occuperemo altrove).
Con la combutta Regioni-cliniche private stiamo citando un malaffare di eclatante gravità, da poterne escludere il peggio. E invece eccolo qua, ancora una volta: un peggio alla decima potenza: la milanase clinica Santa Rita è stata una vera associazione criminale specializzata in chirurgia mutilante e di puro arbitrio, fino all’omicidio reiterato. Salute e vita umana mercificate nella logica assolutistica del business über alles. Come dire, Ippocrate capovolto, il suo Giuramento fatto poltiglia di carta straccia, la deontologia umiliata a risibile optional. Siamo, insomma, di fronte a un genere di crimine e di orrore che pone questi personaggi al di sotto degli assassini mafiosi.
Eccone alcuni edificanti spezzoni di conversazioni intercettate. Dice un medico pescatore: “Io pescavo dappertutto, tiravo fuori le mammelle, poi i polmoni”. Un altro modera ad libitum la durata terrena della vittima: “Quell’anziano ha sugli 80 anni. Ma secondo te tutti devono vivere 120 anni?” Un terzo semina visite per raccogliere chirurgia: “In un mese, 40 visite gratis, così poi li posso operare.” Un quarto celebra le personali virtù midiache: “Ero arrivato a far fare a questa clinica 3 milioni con la chirurgia toracica.” Peccato fermarsi! C’è pure chi si consola perché Negli Usa sono 2,4 milioni le operazioni inutili. Al solito, i buoni esempi vengono dall’America esemplare. Dove, però, una Commissione, la Joint Commission, da qualche tempo esercita veri controlli e “mette in riga gli ospedali” e le cliniche private irregolari. Cosa che in Italia accade assai meno.
Vogliamo fare almeno un cenno a un altro aspetto dell’orrore sanitario? Si allude alle parcelle esose di certi specialisti, una vera passione mammonica, che fa a pugni, anch’essa, con lo spirito ippocratico. A ulteriore negazione del quale capita che questi bulimici del business amorale siano anche medici ospedalieri, e spesso primari di questo o quel settore specialistico. Si beccano, così, lo stipendio fisso della struttura pubblica e il molto variabile gruzzolone dell’attività privata. Nell’esperienza di famiglia, conosciamo il caso di un rinomatoi primario ortopedico che per le visite pagate incassa la modesta somma di 160 euro alla prima, e 80 per le prestazioni succesive (si tratti anche soltanto di leggere lastre e tracciati; o di iniettare un farmaco).

Le priorita’ delle coscienze tremule. Magistrati e informatori mediatici assicurano che senza le intercettazioni lo scandalo della “Santa Rita” non sarebbe venuto alla luce, e la miracolosa azienda (che nel giro di pochissini anni è passata dagli iniziali 30 posti-letto ai 300 attuali) avrebbe continuato a impinguarsi di carne umana. Ebbene, le priorità del nuovo governo non sono l’obbligo di controllare e prevenire di più e meglio (la media dei controlli si aggira intorno al 6 per cento; la qualità, non sappiamo); il dovere di agevolare il lavoro della magistratura onesta; sono tutto il contrario: l’enfasi della sicurezza urbana militarizzata, le impronte digitali ai rom, bambini compresi, il nuovo crimine dell’immigrazione clandestina, un freno ai magistrati che indagano, il lodo Schifani (aggiornato all’Angelino, nuovo pimpante “giustiziere”: perdi un Mastella e ti ritrovi un Alfano: Italia jellata), e simili schifezze. Ed ecco il disegno di legge (dopo lo stop del Quirinale al blitz-decreto) che riduce drasticamente il diritto legale di intercettare (nei tempi e nella fattispecie del crimine) e blinda l’esito degli ascolti (silenzio assoluto fino non all’inizio, ma alla conclusione della prima udienza! E campa cavallo, con i tempi della nostra Giustizia zoppa). Quanto alla stampa, guai a dare notizie, pena carcere fino a tre anni. Insomma, mani legate alla magistratura, bocca tappata ai media. Che naturalmente non ci stanno, e protestano a tutto campo. E vedremo fino a che punto: la piccola (mica tanto, poi) guerra è in corso e mentre la maggioranza del “popolo sovrano” continua a premiare nei sondaggi il malaffare, si formano schieramenti trasversali e si rompono o allentano vincoli di alleanze nate incautamente.
E ci si meraviglia che “il solito Di Pietro” punti il dito accusatore e spalanchi la bocca di verità per cantarle chiare e sonanti: “Quali processi si vogliono stoppare?” Domandina semplice, risposta facile, ben nota a tutti. Anche se negata dal branco di pertinenza certosina, che sbraita latra e spara fregnacce in difesa dei teneri valori della privacy della dignità personale della civiltà giuridica etica e magari religiosa. E se a qualche imbranato non ancora toccato dalla grazia arcoriana la risposta riuscisse difficile, ci pensa l’Interessato a sbracarsi con tanto fragore mediatico da svegliare perfino gli ubriachi di ideologia paperonica. Ciclone Berlusconi Sono uscite sulla stampa cartacea alcune delle torrenziali intercettazioni raccolte dalla Procura di Napoli: ed è scoppiato un putiferio. In esse il Berlù raccomanda morbide attricette e ispirate vallette e roba simile: destinatario di tanto zelo è Saccà, direttore della sezione Rai Fiction, un generoso signore sempre disponibile (e fiducioso nel futuro riscontro). Il Cavaliere premier non ci fa una gran bella figura. Indi ire, e raddoppiati furori censori. Tonino spara la sua schiettrezza al trebbiatore: “Berlusconi si comporta come un magnaccia, altro che statista”. E s’aprono i cieli e cadono fulmini sull’ex pm. Né soltanto dal branco arcoriano, anche da certa mandria alleata più o meno “timbrata” di moderatismo manieroso. Tra gli alleati solo Arturo Colombo lo difende, ricordando che, parola a parte, l’Uomo-tivvù è molto più volgare di Tonino. Veltroni, invece, s’inventa un Di Pietro che aiuta il Cavaliere con le sue rozze esplicitezze. Invano Mannheimer segnala che gli italiani preferiscono la schietta aggressività difensiva al galateo sfocato del veltronismo. Per non parlare del solito Polito, alfiere del moderatume universale, dall’economia liberista al riformismo anti-lavoro: un tipo cui i Tonini santachiara stanno sullo stomaco. Ma il meglio della tempesta mediatica arriva ovviamente dalla gardaland certosina: i Cicchitto, i Bondi, i Buonaiuti et similia scendono nell’arena delle stronzate in gara a chi le spara più grosse. Fino al test di coerenza targato Arcore dell’avvocato Ghedini, che denuncia Di Pietro a quella stessa magistratura che sta pigliando a pesci in faccia insieme al suo signore e padrone plutonico. Il quale l’ha definita con un lemma molto più esplosivo del “magnaccia” dipietrista: “magistratura, mestastasi della democrazia”. Cancro, insomma. E si sta sbracciando per “normalizzarla”, con l’irruenza di un crociato del Sommo Bene (o un cavaliere del Santo Graal). Questa signorile congrega non ebbe un brivido di fastidio quando il crociato don Silvio riempiva la sua campagna elettorale di pensieri delicati come il seguente: “Di Pietro mi fa orrore” Anzi, ci si divertiva sopra, la bella compagnia, per niente disturbata da quell’eccesso di affronto che presuppone un soggetto tarato da vizi e peccati superlativi. Allo specchio di così vicina ed eloquente memoria fa tristezza la cautelosa presa di distanza dei Veltroni, Rutelli, D’Alema, Finocchiaro e compagnia non bella. Neanche colgono l’effetto promozionale che la loro ostilità provoca sulla figura di Tonino, unico oppositore coerente al concentrico attacco del becerume diellino a quel che resta della malconcia democrazia italiana. Il che non vuol dire che si debba dare sempre ragione a Di Pietro: per esempio, quando approva la schedatura dei rom e simili mezzi ghettizzanti sbaglia. E sia pure per eccesso di lealismo legalitario.

La fiera segnaletica Le intercettazioni pubblicate non coinvolgono solo il Berlù e i suoi diretti interlocutori in RAI, ma una folta popolazione di traffichini dai nomi famosi, come (per citarne alcuni) Gianni Letta, Letizia Moratti, Urbani, Minoli, Landolfi, Cuillo, Confalonieri, Malgeri, Costanzo, Fassino, Rutelli… Il quadro che ne viene fuori è quello di una società che se la ride delle lucenti regole d’oro del merito e della fatica (pur tanto di moda nel chiacchiericcio pensoso dei moralizzatori anti-operai), e largamente onora la prassi della raccomandazione. Non è un bel vedere, ma don Silvio se la riderebbe di questa sputtanata: la sua agitazione fa intravedere un peggio ben più temibile. Ed ecco le insinuzaioni, le allusioni: le alimenta proprio lui quando insiste in difesa della ghiotta Antonella Troise, con preoccupato affanno: “Quella pazza della Troise s’è messa in testa che io la odio. Che io ho bloccato la sua carrriera artistica, ed è andata in giro a dire delle cose pazzesche… Ti chiedo questa cortesia, di farle una telefonata… Perché sta diventando pericolosa.” Parole come cerini accesi davanti a un panno inzuppato di benzina e mosso dal vento: che “cose pazzesche” va dicendo la Troise? Quali torbidi segreti minacciano la pace domestica del sor Silvio? E perché un noto “industriale del gossip” ipotizza Veronica Lario in Berlusconi come possibile “donna dell’estate 2008”?
Minaccia sfracelli, il Berlù furens, e annuncia battaglia al talk show di famiglia, “Matrix”. Mentana si lecca i baffi, pregusta lo scoop. Ma la notte porta consiglio, e tutto salta. Non insolitamente. Chi, e con quali argomenti, ha convinto Silvio alla rinuncia? Beninteso, lui sbraita sempre contro questa barbarie della presunta “magistratura politicizzata”, ma di fatto ha rinunciato al decreto legge sulle intercettazioni, si dichiara pronto a difendersi nei tribunali, e via millantando. Ipotesi e biasimi: c’è sotto un mercato? Si bruciano i file più pericolosi da una parte (così si dice) e si rinuncia dall’altra a incalzare un Quirinale irritato? Un eroe taroccato del giornalismo glamour, campione di flop e figuracce, dicesi Vittorio Feltri, di solito indulgente col Cavaliere, lo attacca sul suo giornale, per il suo passo indietro con la sceneggiata a Matrix. Quasi come veder volare un asino: che mondo! E che titoli: “Silvio nel bidone” (con tanto di disegnone coerente). Anche un finto Libero a volte si libera.

Quirinale sotto assedio Il Silvio furioso (più dell’Orlando ariostesco) sempra non conoscere più freni e limiti nella campagna giudiziaria. Un titolo della Stampa recita: E il Cavaliere mostrò i muscoli ai ministri . Ma soprattutto riporta in “catenaccio” parole del Cavaliere degne della Storia: “Certe toghe capiranno che la musica è cambiata” Si stupiscono, certi ponzatori della grande stampa (tipo Corsera). Dove si trova sempre un Pierluigi Battista copioso spruzzatore di frasi profumate intente a dividere in parti uguali torti e ragioni. In fattispecie, tra Berlù e i suoi avversari. Non tanto diversamente (se non per la forma più pacata) ponza Massimo Franco, anche lui (ma è la linea mielata del Corrierone) intento a misurare vizi e virtù degli opposti schieramenti col bilancino della stolida super partes. E si fanno previsioni, fino a ipotizzare una vittoria del Berlù. Il quale, in verità, non fa nulla per celare sia pure di poco la sfrontatezza mercantile della sua bulimia cratofila. E tira cornate a destra e a manca, senza guardare in faccia nessuno. Sia pure il presidente Napolitano, che, peverino, chissà quante volte avrà maledetto il giorno della sua elezione. I due compari, Fini & Schifani, salgono al Colle per blandire, tentare, mediare. Napolitano scrive poche righe a Mancino: il Csm ha tutti i diritti di esprimere opinioni, ma non quello di pronunciarsi ex cathedra sulla coerenza costituzionale di un testo legislativo. Il Gatto e la Volpe, per volontà del Popolo sovrano-guicciardiniano presidenti della Camera e del Senato, sono contenti, e contano sulla discrezione del loro principale. Il quale, invece, spara dritto, alzo zero: “Napolitano ha accolto i suggerimenti di Fini e Schifani”. Sarà scappata una bestemmia all’inquilino del Quirinale? Non sappiamo: nella scarna e risentita replica alla volgare sortita del Cavaliere di molti cavalli la bestemmia non c’è, ma l’irritazione è traspirazione di ogni ponderata parola: “Il presidente ha agito in piena autonomia.” Smentita educata, ma pizzicosa abbastanza per provocare il disappunto di Fini e Schifani verso il linguacciuto esternatore non stop. Ira senza alcuna conseguenza: quei due stomaci sono “educati” a ben altre digestioni.
Dormi, sorella, la situazione non è buona Anzi peggiora di giorno in giorno: l’inflazione cresce, la Bce adotta rimedi che non aiutano i poveri, i consumi calano, le vacanze diventano sempre più appannaggio di ricchi e benestanti resistenti alla crisi, le classi medie scivolano verso l’indigenza, la corruzione tangentizia rialza la cresta, la malavita strutturata regge agli arresti e non …arresta la pratica del pizzo né quella della vendetta mortale contro pentiti e dissidenti: e la scena viene occupata dai boatos di polemiche personali, da priorità vergognosamente lontane dalla sofferenza degli svantaggiati. Costretti a bere quotidiane dosi di orrori, piccoli e grandi, ci tocca registrare gli annunci mirabolanti dei ministri che si auto-elogiano per le tante cose buone annunciate. Si continua a scambiare l’annuncio con la realtà dei fatti. Il colbertismo di Tremonti cancella l’Ici dalla prima casa, detassa gli straordinari, regala una tessera prepagata di 400 miserabili euro annui ai più poveri e si crede un Robin Hood. Brunetta minaccia sfracelli contro gli sprechi i fannulloni gli assenteisti e altre tipicità dell’azienda Italia, la peggiore dell’intera Europa. Ma, appunto, siamo ancora più agli annunci che alla realtà fattuale. E, quando diventeranno fatti, queste iniziative mostreranno tutti i loro limiti.

Contro l’orrore Qualche segnale di resistenza ai dogmi del liberismo sfrenato non basta certo a ridare fiducia in un miracolo di resipiscenza che del mito “Libero Mercato” faccia giustizia; ma è meglio di niente. Di quel niente di consapevolezza critica che ancora sproloquia nei ponzamenti dei Panebianco, degli Ostellino, dei Galli della Loggia, e simili geni. Fra i quali vola più alto Antonio Martino, che raccoglie in un libro i suoi scrittarelli iperliberisti: il titolo è banale per esplicitezza e improntitudine, Liberismo quotidiano. Polemizza con il c.d. colbertismo di Tremonti. Ma anche con fior di economisti che hanno capito una cosa elementare: il mercato che si autocorregge è un mito mai calato nella realtà. Lo dicono titoli come i seguenti, che si leggono sempre più spesso sui grandi quotidiani e i settimanali politico-culturali: Ma che sviluppo è con tanti neo-poveri? (Roberto Artoni); Se questo mondo non fosse unilaterale (Alberto martinelli); Il liberismo logoro e la mossa di Calabrò (Massimo Mucchetti); “Il supercapitalismo sta stritolando la democrazia”, intervista con Robert Reich, economista, consigliere di Barak Obama, già ministro di Bill Clinton, autore del liubro Supercapitalismo (La Stampa, 5 .07.). Martino, allievo del funesto Milton Friedman, è uomo di fede: perciò sordo alle lezioni dei fatti. Fra i quali, gli scandali a ripetizione che hanno allietato con fiamme sulfuree le glorie sinistre della giungla liberista italiana e internazionale. Ultimo scandalo, arresti eccellenti per i soliti meriti – truffa, corruzione, calci alla lealtà concorrenziale – Titolo della citata Stampa: Scattano le manette per mister Spaghetti. Quasi un’intera pagina dedicata allo scandalo, ovvero all’operazione “Mani in pasta” che “coinvolge un re del settore alimentare”, il molisano Angelo Mastrolia, del quale si illustra il faraonico impero (tra le altre imprese, il recente acquisto della Buitoni)
La panacea in forma di Pera. L’Irlanda boccia l’Europa: paure, disappunto, delusione negli ambienti interessati. Ma c’è chi gongola: per esempio, Marcello Pera. Il fiero teocon non ha dubbi nel suo giubilo: “E’ la vendetta cristiana, la storica risposta dei credenti all’Europa senza Dio” Avete cancellato “le radici cristiane” dalla vostra Europa zoppa? Ecco la risposta dei veri europei: tutti buoni osservantissimi cristiani. Ora che il guaio è fatto chi potrà salvare l’Europa mutilata delle sue millenarie radici avengeliche? L’ispirata risposta scorre liscia e pura come l’olio santo: “Ora solo Benedetto XVI può dare un’identità al vecchio continente.” Senza questa promozione salvifica, l’esangue UE è soltanto “un mostro gigantesco e privo di significato”. Addirittura destinato a “implodere” per difetto di anima. I cattolici irlandesi “si sono ribellati a un’Europa che nella Costituzione mette al bando Dio per orientare verso l’anarchia del relativismo […] sui temi eticamente sensibili (adozioni ai gay, eutanasia, aborto, ‘provetta selvaggia’.” Perché, “solo Papa Ratzinger può unificare l’Europa”? Ovvio, perché è “l’unico grande leader di statura e di livello europei”. Si ha un bel dirsi: non m’indurre in tentazione. Quando la tentazione viene da simili inflorescenze di castronerie rutilanti, ogni resistenza crolla. Questo professore di “filosofia della scienza” fa trasparire visioni così distorte di scienza e filosofia da far cadere le braccia. Per usare la più elementare delle mille obbiezioni possibili: un minimo di logica empirica vorrebbe che l’ipotesi fideistica di un autore del cosmo portasse dritti a un volto supermalvagio di tale presunto creatore. Ma l’emerito non vede non sente non parla su questa macroscopica evidenza: riassunto delle tre proverbiali scimmiette, accetta che una concezione del mondo e della storia sia sospesa a un puro delirio di violento arbitrio, che capovolge la realtà, proclama verità una mera postulazione in contrasto con i fatti (il dio tutto potenza amore misericordia, eppure causa prima dei mille flagelli che straziano la vita planetaria, comprese le guerre di homo sapiens, sua “immagine”) ignora millenni di storia sfregiata dalla feroce intolleranza cattolica e protestante contro dissidenti (colpevoli, spesso, solo di richiamarsi al vangelo tradito dalla Chiesa mondanizzata). Quanto alle pretese radici cristiane, la verità storica è che l’Europa come civiltà tendenzialmente tollerante, liberal-democratica, e solidaristica è figlia di un’opposizione tenace ed umanamente costosa (le torture e i roghi delle varie Inquisizioni!) al predomnio della funesta alleanza di Trono assolutistico e Chiesa degli Autos da fé. Il vulnus della costituenda Europa non è il relativismo laico, ma, semmai, un difetto di laicità, visto che ancora oggi si deve difendere la scienza dalla barbarie concettuale delle varie fedi, Darwin dai libri sacri congesti di favole, e perfino l’astronomia “galileiana” dai cento e più milioni di imbecilli sparsi fra Usa ed Europa che prendono alla lettera il racconto biblico della creazione contro secoli di scienze naturali matematico-osservative. Per trovare serietà di pensiero e rigore storico pro Darwin o Galileo bisogna affidarsi a riviste povere e osteggiate, ma coraggiose e battagliere, come L’Ateo, bimestrale dell’UAAR Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti).

Clericalismo? Sì, grazie Questa parodia del programma-delusione di Giuliano Ferrara (“santamente” punito dall’elettorato) potrebbe far da titolo alla dilagante vocazione clericale del masochismo nazionale. Vocazione trasversale quant’altre mai, visto che la resistenza al parossismo interventista del contesto vaticano è ormai confinata in minoranze osteggiate e povere di mezzi materiali. Dalle quali si levano bensì voci di rammarico e rimproveri ai fiacchi laici del centrosinistra ammutoliti dopo la valanga elettorale che ci ha restituito un centrodestra più grintoso che mai (breve la vita felice del dialoghismo irenico post-elettorale), ma con scarsi esiti pragmatici. L’offensiva a tutto campo di Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che nella sua prolusione a quel Consiglio ha toccato tutte le questioni sul tappeto, per ciascuna assegnando drastiche direttive alle coscienze cattoliche, ha dato una frustata alla reattività di quelle minoranze. Massimo Cacciari ironizza sul presule che parla “di rifiuti, sicurezza, salari” e si scorda di Cristo (“ma di Gesù Cristo ha parlato?”). Emma Bonino si chiede e si duole: “Dov’è l’opposizione? Noi abbiamo urlato fin dove si poteva e ora invece non faccio che sentire gente che dice ‘la Chiesa ha libertà di parola’. Altro che parlare alle coscienze, quello di Bagnasco sembra un programma di governo.” Teme che i principi laici siano sacrificati “sull’altare del dialogo” e incalza: “Non conosco Paese al mondo dove si alza un vescovo e dà indicazione su qualsiasi cosa, neanche fose un altro governo ombra.” E le sfugge una parola di sottile malizia: “Dobbiamo fermare questa penetrazione (sic)”. Mentre il super-Cacciari non si smentisce nella sua spavalderia, e dice di temere, non per “lo Stato, che è laico per definizione, e tale resterà finché avrà vita” (“questa storia della laicità è una balla colossale”) ma (udite udite) per la Chiesa, per il suo “infognarsi” in questioni che non le competono, invece di concentrarsi su “questioni etiche e morali”. Più delizioso il democratico Giorgio Tonini, il quale trova “giusto che la Chiesa offra il suo apporto al libero dibattito della società”. Né lo scuote sua Santità che definisce la legge 194 sull’aborto “una ferita per la nostra coscietà”. Anzi loda Bagnasco, che ha “toccato tuti i temi in modo molto equilibrato” (v. Corsera, del 27. 05). E viva l'equilibrio!
Tutto questo (ed altro ancora: per esempio, i doviziosi finanziamenti multipli alla Chiesa militante da parte di questo Stato sprecone) mentre la Spagna di Zapatero continua la sua marcia di progressiva laicizzazione con nuove iniziative tranchant.

Complicità realpolitiche. Calde strette di mano e fioriti sorrisi fra il papa e il presidente Bush in visita vaticana (dopo il bagno di folla americana del papa nel suo viaggio quasi trionfale negli USA). Benedetto XVI non perde occasione per esaltare la sacralità della vita intangibile, dall’embrione alla tomba, e senza sconti eutanasici. Bush è un dilapidatore della vita: quella vera, di carne e sangue, di persone compiute, non quella soltanto potenziale degli embrioni in cammino fra insidie naturali che ne "annullano" l'80% e più. Le sue guerre pretestuose e superbarbare (per l'uso di mezzi infami, come proiettili radioattivi e fosforo bianco) hanno provocato, direttamente e nelle equipollenti risposte terroristiche dell’Islan radicale, qualche milione di morti (fra i quali troppi civili e bambini). Sua santità non prova disagio per tanta complicità di fatto? Ecco una domanda impossibile: l’evidenza la previene: un’intesa perfetta, una complicità esibita. C’è stato qualche cattolico di rilievo politico o morale che abbia obiettato qualcosa? Se c’è stato ci sfugge.
Pasquale Licciardello

P.s. Ovvero Coda coatta. Il sovrastante testo avrebbe dovuto affacciarsi in rete alcuni giorni fa, ma un inghippo informatico ne ha ritardato l’apparizione. Così gli eventi lo hanno lasciato un po' indietro (anche se conservandone intatta l’attualità) e ci impongono questa coda. L’evento mediaticamente più incisivo è stato la manifestazione di piazza Navona organizzata da Di Pietro, con la presenza “collegata” di Beppe Grillo e la performance di Sabina Guzzanti, con altri “famosi” in vario ruolo. Ne è scaturito un putiferio più efficace di uno screening psico-clinico nel mostrare l’orientamento profondo di tanti personaggi coinvolti. Un rinculo massivo ha rivelato l’animus timorato di tanti progressisti presenti, più o meno pentiti: una gamma intensiva che va dal dissenso pacato al timore sagrestiale che inorridisce per le offese al contesto sacrale sparate da Grillo e dall’impertinente Sabina nazionale. Il primo ha coinvolto nel suo “vaffa…” il presidente Napolitano (“E’ Morfeo, fa parte della banda dei quattro, ve lo immaginate Pertini che firma delle leggi così? Io neanche Scalfaro e Ciampi”), la seconda s’è scatenata contro la “coppia” Berlù-Carfagna con allusioni non precisamente caste e monacali (“Presidente, che cuccagna la Carfagna”!) e contro il papa (“Fra vent’anni andrà all’inferno”. Con due diavolacci alle costole). Il bersaglio serio erano, e sono, le leggi ad personam del cavaliere, che teme l’imminente processo Mills (dal quale nuove emergenze probatorie ne minacciano la miliardaria serenità) e spara, per bloccarlo, le iniziative ben note. Ma poi il target si allarga a toccare ogni aspetto della presenza politica del premier sprecadonne e mago merlino (da qualche mese così lo presenta Giannelli: maghino nanetto con il sorriso spalancato e la bacchetta magica oscillante dalla fantasiosa manina).
Ecco qualche giudizio degli scandalizzati. Veltroni: “L’alleanza finisce qui”. Più in dettaglio: “La manifestazione di Piazza Navona ha segnato un elemento di chiarezza definitiva: se ci fossimo andati ora il pd sarebbe un cumulo di macerie”. Imputazioni? “gli attacchi al papa e a Napolitano” ─ definiti “quelle follie”. Perniciose follie, se con esse Di Pietro “ha fatto a Berlusconi il più bel regalo che” egli “si potesse aspettare”. Ipse dixit. Altro insigne contestatore ex amico, Nanni Moretti. “Sono molto avvilito”, sintetizza: “Gli organizzatori sono stati degli irresponsabili” E spara come sputi ripulenti alcuni “mi dispiace”: “Mi dispiace che in questo disastro siano state coinvolte persone come Rita Borsellino. Mi dispiace che sia stato sporcato tutto. Mi dispiace che con gli interventi di Grillo e della Guzzanti siano stati oscurati gli obiettivi della manifestazione e forse sia stata sporcata anche la stagione dei movimenti del 2002” E avanti di questo ardito passo. Furio Colombo si vede spinto a onorare quel nome così provocatorio: s’infuria, dà ragione a Moretti, si dice “altrettanto umiliato e dispiaciuto, la bella e serena partecipazione della gente è stata rubata dalla volgarità distruttiva di Grillo e dalla volontà di spettacolo della Guzzanti”. Umberto Eco sanziona un “esito circense della manifestazione romana, che pure era partita con l’intento di fare sentire una responsabile voce dell’opposizione”. Non approva neanche Camilleri: sbagliato “criticare il capo dello Stato in pubblico, con quattro parole. E’ un errore, sia nel metodo sia nella sostanza” E il papa all’inferno? “Un errore. Ripeto: fuori tema. Ratzinger non c’entrava nulla”. Tradito lo spirito della manifestazione. Per l’ipertricotico accademico Galli della Loggia, in piazza Navona s’è rivisto uno spettro di lunga carriera: l’italo moralismo dalle molte vite. Vera piaga della malconnessa nazione, questo vizio divide la gente in buoni e cattivi: taglio netto. Buoni noi moralisti, cattivi gli altri. Massimi responsabili del morbo, gli intellettuali comunisti: tramontato il pragmatico realismo del grande Togliatti, il piccolo Berlinguer, disperando di potere agguantare il potere per vie elettorali, s’inventò la “questione morale”: un brevetto di eticità che doveva transustanziare i devoti di Botteghe Oscure in altrettanti eletti. E rieccoli, i puri, in piazza Navona, a sfogare la loro libidine di perfezione contro i reprobi e i malvagi, e insomma i berluscones e il loro elettorato. Parole pesanti da un altro criticone maiuscolo: Giampaolo Pansa non ama chi scherza col fuoco, ed essendo di turno in questo ruolo Antonio Di Pietro, l’inventore della “Balena bianca” (la Dc) e del “Parolaio rosso” (Bertinotti) “lo trova nauseante”: “per come si muove e per come parla." Sic et simpliciter.
Risposte alle critiche. Ovvie le difese dei colpiti, ma piace sentirne qualcuna. Marco Travaglio trova Grillo “persino gandhiano, buonissimo”. Ironizza? Forse un poco: per alludere alla qualità dei bersagli che meriterebbe ben altro. Paolo Guzzanti loda la figlia Sabina: “Orgoglioso di lei, è una leader”. Idee a parte, si capisce. E attacca la Carfagna che querela “la figlia del parlamentare di Forza Italia Paolo Guzzanti”: è “fuori dai gangheri”, don Paolo Rosso Malpelo; “furibondo” “disgustato”. Che c’entra, infatti, quella specie di “intimidazione mafiosa”? Insomma, che bisogno c’era di ricordare che papà Paolo non frena la figlia? Mica è una bambina. Lei, la colpevole, non trascura nulla per meritare gli elogi di papà: “Critico chi voglio. E la gente applaude.” Questo titolo del Corsera riassume la posizione della guerriera. La quale schiarisce le idee a Filippo Ceccarelli che su Repubblica ha scritto: “Nulla del genere s’era mai visto e ascoltato a memoria di osservatore”. Risposta di Sabina: “Questa cosa, Ceccarelli, si chiama libertà. Non hai mai visto una persona che chiama le cose col suo [sic] nome…? Caro Ceccarelli, hai fatto un’esperienza straordinaria. Col tempo apprezzerai la fortuna di esserti trovato lì l’8 luglio” La barricadera continua su questo tono elencando una serie di temi su cui rivendica il diritto di criticare a voce piena. Talmente piena da ridurre a un sorcetto alla Socci il povero Al Bano chiuso in un riquadrino tra le "gambe" di Sabina a schizzare il suo velenuccio da beghina: “La Guzzanti? Ci vuole un esorcista, e forse non basta.” Ma perché madre natura distribuisce così capricciosamente le qualità virili e le fife contrarie?
Un accenno di risposta provvisoria ai Catoni sopra convocati, a mo’ di conclusione (coatta, anch'essa). Al Moretti consiglieremmo di usare un po’di salutare masochismo per un’auto-analisi spietata: potrebbe scovare un movente più pedestre della nobiltà ostentata: per esempio, gelosia del successo altrui, rimpianto per un primato svanito coram populo. A Veltroni diciamo: uomo generoso e in buona fede, ma la tua politica langue per mancanza di possa e abbondanza di ibrido: che fusione ci può essere fra un mezzo partito cattolico baciapile come la Margherita e quel che resta del fu Pci? A Colombo, fanatico ammiratore di Israele, suggerirei di ripassare meglio la storia del suo idolo, e non cercare l’eventuale pagliuzza nell’occhio del “fratello” quando si portano simili travi nel proprio. A Pansa, che continua la sua scivolata storta (per difetto di contestualità rigorosa), direi che è vittima di una specie di eterogenesi dei fini: pensa di fare una cosa e ne fa un’altra. A scherzare col fuoco forse sono più quelli che per prudenza non riescono a chiamare le cose col loro nome. A Della Loggia, orgoglioso di avere fatto l’ennesima scoperta dell’acqua calda, riconosciamo il merito di avere inventato un nuovo lemma: divisivo. Il moralismo in un solo Paese, che titola la cembalica tirata (riecheggiando il celebre “motto”, “Il socialismo in un solo Paese”), è, per l’appunto, divisivo. Il resto è un penoso abbaglio: l’Ernesto ritrae la realtà e crede sia un fantasma ideologico del moralismo: come se le colpe di Berlusconi inseguite da un decennio e passa di processi boicottati in mille modi non fossero realtà ma fantasiose calunniee; e non fossero ancora più reali i difetti dell’uomo, la sua capcità di mentire, illudere, contraddirsi, negare l’evidenza. Com’è vero che buona parte di essi sono anche del suo seguito. Altro che invenzioni dei moralisti. Basta un minimale intervento lessicale e la realtà si svela: chi vota Berlusconi lo fa per varie ragioni: per ignoranza analfabeta (una bella fetta di elettori stanno in questo ovile), per tornaconto (ha i soldi, può influenzare poteri e potenze, male non mi verrà di certo…), per cinismo intellettuale (“la vita è una preda”, tuonava Luigi Russo: un verbo seguito da folle di “teste d’uovo”, il ceto più duttile e sofisticante dell’intera “razza umana”); per consumata complicità con il malaffere organizzato; e perfino per induzione religiosa (la religione dei siciliani, osservava Sciascia, è un cattolicesimo sui generis, che scantona nell’idolatria materialistica e nella riottosa competizione festaiola). Basta sostituire buono con “meno corrivo ai compromessi disonoranti”; cattivo, malvagio e simili con: troppo inclini a coltivare ciascuno “il fatto suo”. E il moralismo maiuscolaro (ideologico) si riscatta in una seria aspirazione etica.
Insomma, a nauseraci sono le precauzioni, le morbidezze, le buone maniere di certo moderatismo che, nei momenti più drammatici dello scontro politico-sociale, aspira avidamente le sue riserve di ipocrisia per drogarsi di moderatume. Un evento che suole coincidere, spesso, con le buone posizioni socio-economiche dei personaggi più pronti al sacro fuoco. E allora, singole parole o sortite a parte, stiamo con Tonino e con Grillo, con Travaglio e Sabina: tra i pochi siti che non dicono errore per dire crimine.