giovedì 2 febbraio 2012

ISRAELE ÜBER ALLES

Abbiamo davanti un foglio del quotidiano la Repubblica del 29 magio 2009; è la pagina 16, “intitolata” L’America di Obama , ma riservata a quanto suggerisce il seguente titolone: Obama:“Israele ha l’obbligo di fermare gli insediamenti”. L’occhiello recita: Incontro con Abu Mazen: sì al piano di pace saudita. Che sono parole incoraggianti, profumante di speranza; purtroppo, ahimè, nel settore “Reazioni” scintilla questo lutto di un titolo lugubre: Ma Netanyahu dice no. Più in esteso, il verbo del premier nazionalista tra virgolette che ricordano cappi: “Le colonie non si toccano”. In occhiello si legge: “Dopo il rifiuto del premier della formula basata su ‘due Stati’ sostenuta anche dalla Ue”. Due foto a mesti colori ornano la pagina: una grande, con il leader palestinese Abu Mazen e il braccio di Obama teso verso di lui; l’altra, piccola, che mostra “coloni israeliani negli insediamenti palestinesi”. Ma non seduti a prendere il sole, sì all’opera, innalzando una bandiera israeliana su un alto palo.
Il testo del servizio chiarisce la portata della posizione americana; Obama aggiunge a quanto riferito nel titolo: “Sono fiducioso che lo Stato ebraico accetterà la soluzione dei due Stati nell’interesse della propria sicurezza”. E qui è difficile inceppare un commentino al fiele: mai fiducia fu peggio riposta! / “Durato circa due ore, di cui una buona parte a quattr’occhi, il colloquio era un tassello importante della nuova iniziativa diplomatica in Medio Oriente di Obama, che ha chiesto ai palestinesi di ‘rinunciare ad ogni violenza contro gli ebrei’. A differenza di George W. Bush, infatti, Obama e il segretario di Stato Hillary Clinton vogliono affrontare di petto, e senza perdere tempo, i nodi della pace tra israeliani e palestinesi. Di qui i colloqui a raffica con i leader della regione e il prossimo viaggio del presidente americano”. Un impegno complesso, dunque, questo di Obama, con un’agenda fitta di incontri che non escludono nessuno dei personaggi al top delle responsabilità politiche nello spazio di propria competenza: dal re Abdullah di Giordania, al premier israeliano Benjamin Netanyahu, e via fino al presidente egiziano Hosni Mubarak. Personaggio dotato di sensibilità diplomatica quest’ultimo, ma purtroppo travolto, l’anno scorso, dalla cosiddetta rivoluzione egiziana (tanto esaltata da certi europei, smentiti, presto, dagli eventi con presa del potere da parte dei militari e rischio di espansione dell’estremismo islamico, e perciò di un controllo dei relativi preti sulla politica post Mubarak). Impegno di convinta, tenace serietà, questo di Obama, che non ne ignora le difficoltà “acquartierate” tutte in quel di Gerusalemme. Dove, purtroppo, la nuova dirigenza politica va a pranzo con l’orrido biblismo dei religiosi tradizionalisti, questi fantasmi di un’epoca lontana dissepolta, che vanno per le strade sotto neri cappellacci sopra lunghissimi cernecchi della cultura biblica,.prendono ancora alla lettera le avventate rivendicazioni del Deuteronomio sulla cosiddetta Terra promessa.e non lasciano sperare nulla di buono. La quale Terra, secondo i calcoli dell’ottimo Odifreddi, abbraccerebbe, oggi, una bella quantità di stati moderni della zona (Piergiorgio Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani E tanto meno cattolici, Longanesi, 1a ed.febbraio 2007; 8a febbraio 2008). A questi chiari di luna (israeliana) era soltanto una generosa ingenuità l’impegno della coppia Barak Obama-Hillary Clinton (sua segretaria di Stato). Sono trascorsi tre anni da quel fermento di iniziative e colpi di buona volontà, tra l’altro non seppelliti nella tomba dei loro insuccessi, ma ancora reattivi da un anno all’altro, e però niente è cambiato nella posizione provocatoria dei leader israeliani, che continuano, more solito, a sfidare la volontà del mondo politico occidentale ampliando, piuttosto che mitigare, le loro provocatorie pretese espansionistiche. E stanno ancora colonizzando la famosa Striscia di Gaza martirizzata dalla ferrigna occupazione, quasi fosse un legittimo retaggio della comunità planetaria. Come si spiega tanta arroganza? Semplice: con le banche ebree nel mondo, ma soprattutto negli Stati Uniti, dove finanziano alla luce del sole i partiti democratico e repubblicano. E insomma, come recita il proverbio siciliano, girala comu voi, sempri è cucuzza; che tradotto in lingua suona questo trombone: Mammona-Moloch è ancora (e prevedibilmente sarà nei secoli avvenire) il massimo Potere che ogni altro condiziona.
Il 27 gennaio, Israele vive il Giorno della Memoria, cioè dell’olocausto, la persecuzione degli ebrei da parte della Germania nazista: come dire, non un “orrore senza precedenti”, come si suole amplificare (e “nobilitare”), ma certo un grande crimine, da ricordare, a monito del presente e del futuro. Purché non si dimentichi la verità, e cioè che la storia è piena di orrori, e tanti sono dello stesso tenore dell’olocausto, metodi e armi a parte: quando i mongoli conquistarono Pechino, “premiarono” la fiera città uccidendone tutti gli abitanti, che non erano poche migliaia. Ma il verbo va all’essenza e all’epilogo semantico trascurando il percorso e i dettagli, che invece urlano di orrore: i fantasiosi mongoli facevano cuocere i prigionieri in capaci pentoloni. E fanno bene, gli ebrei, a celebrare quel giorno a ricordo dell’infausto eccesso di crudeltà disumana (anzi, umanissima: mica i nazisti erano diventati diavoli o estrosi leoni!). Fanno bene, dunque, ma farebbero meglio se del nazismo non copiassero nulla, nemmeno la voglia espansionistica e predatoria puntata, in fattispecie, sulla ricordata Striscia di Gaza e il resto dei territori occupati nel 1967; e invece si sono macchiati dei crimini atroci ricordati in un nostro precedente articolo, consumando direttamente il pasto criminale o (ed è il caso da loro preferito), lasciando fare ad altri lo sporco lavoro e limitandosi a godersi l’eccitante spettacolo (come nel flagellato Libano del 1980-82, e a Tell al Zaatar nel 1976-77.)
Chi si meraviglia della spregiudicatezza ebraica dinanzi alla vita dei nemici ignora la plurimillenaria tradizione di crudeltà che caratterizza la storia dell’ebraismo e la relativa legittimazione biblica. Ricordiamo, qui, alcuni degli episodi più rivelatori, cominciando dalle Sette piaghe scatenate da Mosè, o meglio, secondo la Bibbia dal suo sbrigativo ispiratore celeste, contro la popolazione egiziana, per il rifiuto del Faraone di lasciare liberi gli ebrei prigionieri. E qui cediamo la parola a Odifreddi: “In una sequenza di effetti speciali hollywoodiani, non a caso ripresi in innumerevoli produzioni cinematografiche e televisive, Jahvé scatena le prime nove piaghe d’Egitto, tramutando le acque del Nilo in sangue, infestando il paese di rane, zanzare e mosconi, provocando un’epidemia, un contagio e una grandinata, e oscurando il cielo con cavallette e tenebre” (così nell’Esodo). “L’ultima piaga è invece una tragica pulizia etnica, in cui Jahvé stermina tutti i primogeniti e, chissà perché, anche dei loro animali. Un’impresa che l’Esodo si limita a descrivere in maniera sobriamente soddisfatta:‘un grande grido scoppiò in Egitto, perché non c’era casa dove non ci fosse un morto’. / E’ questa bella impresa che gli Ebrei festeggeranno nei secoli come la Pesach, ‘Passaggio’ o ‘Pasqua’, perché un segno di sangue d’agnello sulla porta aveva indicato le case da non colpire” A gustare meglio l’edificante episodio leggiamo qualche rigo dell’Esodo: “Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi il flagello di sterminio, quando io colpirò il paese d’Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale, lo celebrerete come festa di Jahvé: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne”. Gli episodi biblici meritano tutti l’arguzia che Odifreddi qua e là spende a commento di codeste presunte imprese di un Jahvé stragista che tanto somiglia a un Hitler sbrigativo o a un Gengis Kahn vampirico. Eccone un altro assaggio: “In tutta la piagosa vicenda Jahvé si assicura personalmente che il cuore del faraone rimanga indurito, così che questi si ostini a non voler lasciare partire gli ebrei e lui possa continuare a dispiegare i suoi fuochi d’artificio. Puntualmente, e nonostante l’eccidio, il faraone insegue gli Ebrei in fuga e Jahvé può compiere il suo più spettacolare prodigio: l’apertura delle acque: l’apertura delle acque del Mar Rosso per lasciar passare il Popolo Eletto, e la loro chiusura sull’esercito egiziano per annegarlo. In particolare, le acque sommersero i carri e i cavalieri, nonostante la quinta piaga avesse “fatto morire tutto il bestiame degli egiziani” (pg 46-47). E che dire del diluvio universale che (secondo il testo biblico) colpisce con livellatrice nonchalance milioni di innocenti insieme ai “colpevoli” –considerato che almeno i pargoli siano incolpevoli (visto che il presunto Figlio di sì svelto Padre li chiamerà a sé e ne consacrerà l’innocenza). O del fuoco celeste sterminatore sparato contro Sodoma e Gomorra a fare altre stragi indiscriminate, tra viziosi peccatori e, ancora una volta, l’innocenza fatta carne dei bambini non risparmiati? Il Vecchio Testamento è una galleria di orrori intersecata da sballate pretese, contraddizioni incredibili, favolette per gonzi (immaginate i quarant’anni trascorsi nel deserto!), postulazioni teologiche senza pudore, e via contro tutto ciò che oggi è scienza e faticosa conquista razionale nutrita di osservazioni sistematiche potenziate da strumenti sofisticati. Ma la santa Madre Chiesa ne accetta l’eredità contro queste evidenze presenti nel nostro tempo. E sia detto senza santificarlo, questo tempo, che ha conosciuto, in coda agli sconvolgenti successi della scienza e della tecnica, la distruzione di Hiroshima e Nagasaki, come dire il culmine moderno dello stragismo biblico. Non si dimentichi il particolare religioso di questi primati all’atomo: i capi politici e militari cui dobbiamo questa gigantesca espansione dei crimini biblici erano cristiani, e poco importa di quale confessione, cattolica o variamente protestante, che fossero. Vedi continuità storica della vocazione criminale illimitata di homo sapiens al quadrato nei suoi campioni con responsabilità politico-militare
Le violenze sopra evocate sono soltanto una minima parte del totale; ma qui non si persegue un elenco completo. Magari basterà ricordare che la severità assassina di questo torvo idolo non risparmia neppure i suoi incauti inventori, quando questi, in massa o in parte resistono ai suoi comandi perentorî. Odifreddi contesta le cifre, gonfiate, sugli ebrei in Egitto e, dopo l’esodo, nel deserto, dove un’altra spacconata li vorrebbe inchiodati per ben quarant’anni, nutriti da “acqua, manna e paglia” fornite dal loro dio, in attesa di andare a conquistare la terra promessa. Viziati da quei doni, quei pigroni avevano pensato che la conquista sarebbe stata un passeggiata assistita da Jahvé, e allorché sentono, dai loro “esploratori” inviati nella terra di Canaan (e tornati dopo quaranta giorni), che la splendida regione “dove scorre latte e miele”, è presidiata da “popolazioni armate e potenti”, all’entusiasmo subentra la paura. Tanta, da rivoltarsi, e sostenere che “tutto sommato, sarebbe meglio tornarsene in Egitto”. “Il bellicoso Jahvé la prende malissimo, e decide di ‘colpire con la peste e distruggere’ il suo stesso popolo. Mosè gli fa notare che una tale conclusione della vicenda sarebbe apparsa ridicola agli occhi degli Egizi”, (notare: ridicola non atroce!). “Jahvé ne conviene e si accontenta allora di condannare gli Ebrei a quarant’anni di peregrinazioni nel deserto, uno per ogni giorno di perlustrazione della Terra Promessa, e a permettere soltanto ai loro figli di entrarci” (pp.48-49). La storiella, come vedono gli occhi non cecati dalla credulità criminale, è piena di bolle logiche. Oltre a quelle emerse in questo riassuntino, ce ne sono altre dello stesso livello. Come la seguente: Jahvé aveva incoraggiato i suoi életti prima dell’esplorazione dichiarando a Mosé: “Manderò i calabroni davanti a te ed essi scacceranno dalla tua presenza l’Eveo, il Cananeo e l’Hittita. Non li scaccerò dalla tua presenza in un solo anno, perché il paese non resti deserto e le bestie selvatiche si moltiplichino contro di te. A poco a poco li scaccerò dalla tua presenza, finché avrai tanti figli da occupare il paese” (p.48). Credenti, fanatici, sacerdoti, lunatici: poteva mancare, in questo assortimento, una ribellione dei più ambiziosi contro la leadership del duo ferrigno, Mosé-Aronne? E non mancò: ordinaria amministrazione. Straordinaria è la giustificazione degli oppositori: gli Ebrei “sono tutti santi e Jahvé è in mezzo a tutti”. Altrettanto mirabile la punizione dei rivoltosi da parte di un Jahvé imbufalito: “la terra si spalanca e inghiotte i ribelli e 250 loro sostenitori, facendoli ‘scendere vivi agli inferi’. E quando il popolo si lamenta che quello non è il modo per Jahvé di trattare gli Ebrei, per tutta risposta riceve un flagello che uccide 14.700 persone” (ib.) Ti viene la nausea, o lettore delicato? Pensa che quanto riferito è contenuto in meno delle prime 50 pagine dello scrupoloso Odifreddi, sempre a stretto contatto con i testi sacri. E perciò aggiungiamo ancora una perla riassumendo l’ultimo capoverso del paragrafo. “Un altro flagello ne ucciderà 24.000 quando il popolo ‘cominciò a trescare con le figlie di Moab’, ‘si prostrò davanti ai loro dei e aderì al culto di Baal’, compiendo due dei peccati che più ossessionavano Jahvé: cedere, cioè, alle donne e ai culti degli stranieri. Il flagello termina soltanto quando un nipote di Aronne impala per il basso ventre una coppia mista, composta da un israelita e una madianita, meritandosi per questo bel gesto la gratitudine divina e ‘un sacerdozio perenne’ per la sua stirpe” (p. 49). Sopravvissuti agli improbabili 40 anni fra i rigori del deserto giunge il tempo di “entrare nella Terra Promessa preceduto dalle battaglie con i popoli vicini che si oppongono al loro avvicinamento alla meta. Con l’aiuto di Jahvé, Israele sconfigge i re di Arad, di Sicon e di Og, ‘votando allo sterminio’ i loro popoli e ‘non lasciando nessun superstite’. / Poi arriva la carneficina dei Medianiti, secondo precisi ordini divini: Compi la vendetta degli Israeliti contro di loro, quindi sarai riunito ai tuoi antenati”. E’, questa, forse, la strage più odiosa fra le odiosissime consumate dal “popolo eletto”.(anche se è difficile farne una classifica). Odifreddi la riferisce con larghe citazioni bibliche; ecco la voce di Jahvé: “Uccidete ogni maschio tra i fanciulli e uccidete ogni donna non vergine, ma conservate invece in vita tutte le vergini per voi” (Esodo) (ib. pp.49-50). Nel conteggio del bottino “il suo macrobo censimento è di ‘675.000 capi di bestiame minuto, 72.000 capi di grosso bestiame, 61.000 asini e 32.000 mila persone, ossia donne vergini.’”(p.50). E la storia sacra continua: con nuove guerre e reiterati eccidi. Morto, secondo la volontà di Jahvé, Mosè, gli succedette Giosuè, il cui nome originario, Osea, era stato modificato dal defunto leader in Jeoshua, cioè Dio salva, e insomma Gesù Salvatore: un anticipo che non fa cessare le stragi e i miracoli di supporto: gli Ebrei attraversano il Giordano, “che si apre come un nuovo Mar Rosso”. “Un esercito di 40.000 uomini avanza di fronte a Gerico, che viene presa” come ci hanno insegnato fin da bambini, dettagli a parte: “al suono delle trombe dei sacerdoti le sue mura crollano” Da quell’uomo di spirito che è, Odifreddi cita un famoso spettacolo per un illuminante confronto: “Nel gospel Joshua fit the battle of Jericho (“Giosuè combatté la battaglia di Gerico”) la vicenda è ridotta a una canzonetta, ma nel racconto biblico gli abitanti della città vengono letteralmente sterminati, passando a fil di spada ogni essere che era nella città, dall’uomo alla donna, dal giovane al vecchio, e perfino i buoi, gli arieti e gli asini”. Il corsivo traduce il testo biblico (p.50). Il “contrappunto” di Odifreddi merita un posticino in questo sfogo: “Secondo l’imbarazzato commento dell’edizione ufficiale CEI si tratta di un costume in armonia coi tempi antichi, ispirato a una morale imperfetta, che aspettava di progredire” (pp.50-51). Vien voglia di replicare: se la Bibbia è ispirata da Dio (nei fatti e nei resoconti) vuol dire che anche Lui aspettava di evolversi, con buona pace dell’eternità, che è al di sopra del tempo. Di più: quando Cristo realizzò quel progredire finirono, forse, stragi e sterminî fra i battezzati? E la Santa Inquisizione, che torturava e bruciava i dissenzienti, come si concilia con quel progresso?
Il piccolo assaggio che precede questa conclusione vuole essere solo un indicatore del retroterra culturale che “legittima”, precedendole nei secoli, violenze anche truci e pretese inaudite dell’Israele attuale. Da testi sacri così gonfi di eventi tragici, letti e memorizzati dal popolo ebraico come voce divina garantita dai suoi preti, e seguita da fanatici civili e militari (in aumento nel Paese che si definisce laico, e tale lo crede una folta maggioranza di israeliani) si può trarre tutta la legittimazione che i responsabili della politica desiderano a copertura sacrale di ambizioni spregiudicate, che sputano anche sulle decisioni dell’Onu, con l’arroganza di chi non teme pericoli e si sa ben garantito da molti amici, più o, meno complici e protettori. E quest’ultimo andazzo è il totalmente insopportabile per coscienze libere e poco inclini ai compromessi infami.
Pasquale Licciardello