mercoledì 3 dicembre 2008

Susanna frammento tre

7 agosto

La quale bellicosa vocazione, semplice modalità della fisiologia belluina della specie, trova conferma largamente plurale e quotidiana in accadimenti sbalorditivi. A pagina 9 di questo giornale si legge (e del resto lo sapevamo dal telegiornale di ieri sera – e dai precedenti dei mesi scorsi): Ondata di violenza minorile, si invocano severe misure. Tre giorni di scontri in Inghilterra fra bande rivali di teppisti: due morti. “Mods” e “Rockers”, (4 mila giovani in tutto) si danno battaglia sulla spiaggia di Hastings: risse selvagge con sbarre di ferro, mattoni, coltelli, cinture con borche metalliche. Altri combattimenti a Brighton e Great Yarmaouth. Due ragazzi (di 18 e 15 anni) trovati cadaveri, con ferite e lesioni. Tre agenti all’ospedale. La polizia invia rinforzi in aereo.

Sembra il parto inverosimile di fantasie malate ed è cruda realtà di oggi, di questi primi anni Sessanta pieni di cultura e civiltà teoriche, semplici fatti di cronaca. Hastings, poi: i piccoli avvenimenti dei nostri giorni non copriranno di oblio Guglielmo il Conquistatore e i suoi tagliagole normanni; ma il battesimo del sangue sarà il viatico per un’associazione onesta dei due complessi évenementiels su quel glorioso nome. La Battaglia di Hastings segnò, quasi novecento anni fa, nel 1066, il destino dell’Inghilterra nel suo passare dal dominio sassone a quello normanno. E viva la memoria che lega eventi lontani negli stessi spazi. E spazi distinti nello stesso tipo di eventi.

Ancora cartoline dalle care studentesse della mia classe IV sez. E. Da vari luoghi di vacanza e dai rispettivi paesi. Variamente illustrate e debitamente vibranti di “affettuosi” o “distinti” saluti, secondo il sensorio e l’ardire della mittente. Taluna salda i due aggettivi divaricati: “Distinti e affettuosi saluti a lei e famiglia”. Firmata, Susanna Castrato (ma che brutto cognome!).

8 agosto

Torno, quaderno, al tema “bellicosità giovanile teppistica in England”. Che cosa spinge questi ragazzi a tanta volenterosa e così assurda violenza? L’infelicità, la noia, la carenza di ordine morale nelle famiglie, la mancanza di affetto, l’assenza dei genitori troppo assorbiti dai tempi del lavoro? Tra queste risposte possibili va caracollando l’intellighentsia sociologica e psicologica, sparando parole grosse e diagnosi monche, reticenti, non radicali. L’etologia contemporanea suggerisce di frugare tra le cellule organiche e chiedere alla loro intrinseca aggressività strutturale una luce più remota a illuminazione dei fatti più recenti. Se l’aggressività non fosse una propensione radicale, anzi una necessità biologica universale, come farebbero le condizioni socio-ambientali a scatenarla? La creerebbero, secondo quei valentuomini. Ma la cosa sa di magia: “cause seconde” e concause sarebbero capaci di generare un quid assolutamente assente nelle condizioni componibili di un contesto esplicativo. Saremmo a un emergentismo miracolistico. L’aggressività deve essere presupposta ad ogni spiegazione socio-psicologica – obiettano gli etologi. E hanno ragione. Ma anche loro si fermano al di qua della possibile condizione originaria del bios. E qui sembra assumere autorità la teoria del Gulizza: a che pro l’aggressività, se non radicata nella struttura trofica come totalità germinale del fenomeno vivente? Cioè, non più soltanto come mezzo di acquisizione del cibo, ma come esercizio globale dell’esperienza fondante, quella nutritiva: in una parola, la fame. Come dire: mangiare ed esercitare violenza sono una sola cosa. Un contesto scandibile, bensì, in fasi e momenti distinti, ma olisticamente unitario nel suo processo.

Si parla, allora, di regressione a stadi anteriori alla sublimazione morale. E la domanda si sposta: cosa fa regredire il ragazzo? Si tira in ballo una (o più) di quelle cause seconde, che effettivamente possono agire da catalizzatori. Ma solo questo: catalizzatori della regressione a una funzione ben più lontana delle cause seconde. E forse converrebbe parlare piuttosto di scarsa sublimazione (o progressione traspositiva verso forme ritualizzate e incruente della carica aggressiva fisiologica) che di regressione tout court. Oppure combinare le due cose. La domanda si sposta, allora, su questa carenza di trasposizione: donde viene? E qui possono giocare un ruolo significativo le concause catalizzanti e risveglianti: per esempio, la scarsa presenza affettiva dei genitori, con relativa ribelle insofferenza verso di loro: la loro assenza, i valori pretesi e traditi, l’ipocrisia che ne esala, a loro giudizio. Donde la necessità di violenza come esternazione di quella rivolta non consumabile, in linea generale, contro il vero bersaglio.

Ma il monito a risalire verso le origini citologiche ritorna anche in questo assetto esplicativo, che valorizza come eccitatori le concause socio–psicologiche: perché non tutti i ragazzi manifestano la stessa aggressività? Alcuni sono lontani per incapacità nativa di arruolarsi nei gruppi violenti, altri, all’interno degli stessi gruppi, benché ugualmente stimolati mostrano una sensibile variabilità dell’inclinazione violenta. Evidentemente, dirà il sociologo, dipende dalle famiglie, dalle loro capacità educative. Non meno evidentemente riteniamo di dovere disturbare, chiamandolo in causa, il dna individuale (e dunque anche il familiare). Che tutto filtra e dimensiona: ambiente, cultura, esempi, occasioni e contingenze varie.

Il ping pong continua. Tornando alla sociologia. La famiglia: certo che ha gravi responsabilità: l’eccesso di libertà concessa ai ragazzi (o piuttosto imposta?) dall’assenza dei genitori assorbiti nel lavoro (e magari, in parte, nella vita sociale e socio-edonistica) giocherà un suo ruolo nel lasciarli in balia del branco. E qui l’effetto contagio si fa avanti, a favorire quella regressione. O nello sfruttare quella carenza di trasposizione eticizzante di cui soffrono certe (moltissime, la stragrande maggioranze) famiglie e comunità. Chi lo nega? C’è una meccanica, o logica, del branco che riesce a prevalere anche sulla eventuale timidezza e mitezza del singolo. Ma sempre nel gioco del più e del meno: un ragazzo sfugge alla pressione mimetica e al ricatto del giudizio svalutante isolandosi dal branco; un altro non riesce a vincere la minaccia della svalutazione, e vi resta invischiato. E così via per una gamma indefinita di possibilità e soluzioni individuali, tutte condizionabili socialmente, ma altrettanto incollate al primo dittatore interno: il dna. A sua volta incardinato sul senso primordiale e universale della vita, la nutrizione, impossibile senza una qualche forma di violenza sull’ “alterità” (animali, piante, uomini...) suscettibile di ingestione untritizia.

10 agosto

L’argomento spinge ancora: altre righe mi tentano sulla presenza attiva delle ragazze agli scontri. Attiva, appunto, e grintosamente partecipe: mica da semplici spettatrici, magari eccitate. Queste figlie di mamma si gettano nella mischia come gattine infuriate: non si limitano ad aizzare i loro amichetti, ma colpiscono, partecipano alla “battaglia” come possono, con i loro mezzi. Che suppongo siano più naturali che artificiali. Comunque, si azzuffano anche loro. La cosa è parecchio eccitante. Non solo per gli attori in campo e le stesse attrici-gatte; anche per l’osservatore. Il quale ci legge l’evidenza dell’aggressività femminile e della smentita al mito romantico della donna tutta mitezza e disponibilità al potere maschile. Ma è stato mai creduto, poi, questo mito? Temo, mai. Nemmeno quando visse la florida stagione della poesia provenzale, del dolce stilnovo e della donna angelicata. O del romanticismo “lunare”.

Ma c’è di più in questa esperienza. Gulizza vi troverebbe la prova della natura originariamente fagica dell’eros. Non mi pare dubbio che le ragazzine-gatte sperimentino un sapore erotico nell’eccitazione della lotta e nelle sue concomitanze tattili e muscolari. Vuoi mettere le insipide occasioni di deboli contatti nel sorbire passeggiando un gelato insieme al compagnuccio con le mille chances, che offre la lotta, di contatti molteplici in strette e abbracci e saporite botte? Sì, l’Escluso vi troverebbe conferme alla sua teoria dell’eros come diramazione traspositiva del primum movens fagico, che, secondo lui, l’omicidio a sfondo sessuale mostrerebbe in modo drastico. E che talvolta finisce con la materiale ingestione cannibalica, più o meno parcellare, del partner assassinato: vedi caso recente dello studente giapponese che uccide l’amica sciatrice e ne mangia pezzi debitamente riposti in frigo. Allora si potrebbe paragonare la lotta promiscua a una sorta di orgia regressiva appena frenata nell’esito sessuale e accentuata nella violenza agonale. Intanto il fenomeno s’impone all’attenzione sempre più: è il terzo episodio di violenza sociale “orgiastica” in pochi mesi, dalla Pasqua in qua.

Hastings, prurito di una domanda: scelta del tutto casuale o ispirazione di qualche capetto a conoscenza della celebre battaglia? Ipotesi, quest’ultima, alquanto peregrina, in un ambiente giovanile urbano così alieno dalla cultura, quella seria, e così incline a musica leggera e rock. Ma tant’è.

*

Sfoglio di nuovo lo stesso giornale. Ancora morti accidentali: una zingarella di due anni annegata a Milano, un’altra bimba, di tre, pure, a Venezia. Ancora: una contadina travolta da un’auto; un’altra zingara, questa giovane, trovata morta in un prato; un operaio annegato. Un’estate prodiga di sciagure, non c’è che dire. Se ampliamo il campo di osservazione, qui assai ristretto, le cifre raggiungibili sono davvero di pura prodigalità sprecona. E stiamo ignorando i focolai di guerra locale. Anche se con uno sguardo muto ma pieno di senso allo scenario che si apre nell’Estremo Oriente. E forse anche nel vicino: vuoi che, dopo la guerra del ’48 e quella del ’56, entrambe a piena vittoria israeliana, e con lo stillicidio di “incidenti” confinari, graffi palestinesi e sbrigative risposte con la stella di David, non sia in gestazione un altro splendido conflitto su vari fronti, con tanti bei morti e feriti, e riconferma della soverchiante superiorità ebraica?

Le due bambine, loro in particolare, mi si inchiodano al centro della scena memoriale. E me ne richiamano altre, nipotine, o della parentela comunque; e altre ancora. Sono il centro dello scandalo. Il ventre molle di ogni teodicea.

Transitiamo alla scienza di Ippocrate per trovare nuove benedizioni. A pagina 11 le “Cronache della medicina” offrono articoli molto interessanti. Tra i quali spicca quello del prof. Paolo Tolentino, ordinario di malattie infettive all’università di Genova, il quale ci ragguaglia su Infezioni batteriche un tempo sconosciute. Eccone un sommario: Molti germi una volta creduti non patogeni e sprovvisti di “potere invasivo”, possono invece provocare, in determinate circostanze, malattie anche gravissime. Aggrediti gli individui più deboli e i “prematuri”. Non sono belle notizie? Ad maiora, per dirla in latinorum.

Continua la polemica sollevata dal prof. Maspes per la trasmissione televisiva sull’operazione del prof. Olivecrona. Mi pare si esageri. E sia detto con tutte le giustificazioni possibili e i dovuti riguardi per l’interesse generale e le dignità offese. Come al soltio in Italia. Né, per la verità, solo da noi.

Lezioni di economia dalla Francia. La pagina 12 riprende un articolo de Le monde, autore Jean Luc: L’impossibile svalutazione della moneta italiana. L’interesse della Comunità europea comanda: frenate i prezzi, bloccate i salari, fermate le spese pubbliche, o le esportazioni italiane diventeranno troppo invadenti. E naturalmente, provocheranno “misure di ritorsione degli altri governi”. Chi fa le spese della “scienza economica” sono sempre i poveri cristi. Com’è inevitabile (e per gli avvantaggiati perfino giusto) nel sistema economico in auge e vigore nel felice Occidente. Il che segue necessariamente al difetto di analisi dei signori economisti, che si fermano a mezza altezza del problema e celano la motrice non tanto segreta del convoglio classista. Si spingessero più a fondo, troverebbero la chiave delle lamentate distorsioni: la fame scarsamente evoluta dei nostri imprenditori avidi di profitti progressivamente pingui. E perciò insensibili alle sofferenze dei ceti sacrificati a tanto progredire. Salvo, qualche elemosina mediata da sollecitazioni religiose, fra suggestione evangelica e paure trascendentali per induzione cronologica e debilitazione corporale.

Sfogliando ancora, a pagina 13 altri tre morti ci accolgono: uno studente folgorato dal frigorifero, una donna suicida dopo avere litigato col marito, un vecchio sposino settantenne. Trenta morti in un solo giorno per incidenti: l’impresa di una dimostrazione dell’esistenza di Dio per via di cronaca nera si mostra assai difficile per eccesso di materiale probatorio: meglio rinunciare. Cioè, limitarsi all’assaggio qui già offerto.

La Gazzetta dello Stretto riporta, nella pagina “Gazzetta letteraria” il testo integrale di una intervista fatta da Claudine Jardin a Carlo Cassola. Lo scrittore toscano s’è lasciato andare. Ecco alcune delle sue affermazioni, che in buona parte condivido (basta far la tara a certe iperboli polemiche).

Domanda. Da voi adesso c’è un’avanguardia letteraria.

Risposta. Si tratta di un fenomeno recente; finora questa avanguardia ha prodotto poco, ma in compenso ha fatto molto chiasso

D. E’ un po’ come in Francia.

R. La guerra fra tradizionalisti e avanguardisti è un nonsenso. Non si può discutere di stili e di linguaggi come di questioni isolate. L’abolizione della sintassi e della punteggiatura, non è fenomeno nuovo, risale a prima del 1914.

D. I giovani autori hanno generalmente un ideale politico?

R. Certamente. Essi invocano il marxismo, Kruscev... Vorrei che un giorno arrivasse Mao. Naturalmente a me danno del fascista. Ma intanto io ho vissuto la Resistenza, e loro no.

D. Può darsi che non abbiano conosciuto quell’epoca.

R. Qualcuno sì. Noi abbiamo il nostro piccolo Sartre, che si chiama Vittorini. Egli grida che il mondo capitalista è vergognoso, che i valori sono falsati. E’ assolutamente ridicolo dire queste cose a proposito dell’Italia, dove il livello di vita è considerevolmente migliorato. E’ facile oggi essere un intellettuale. Basta ripetere quattro o cinque parole alla moda.

D. Secondo te a cosa si deve il successo della Ragazza di Bube?

R. Ho raccontato i veri drammi della Resistenza, così come li ho vissuti. Per me il conflitto tra lo spirito della non violenza che ci faceva detestare la guerra e la necessità di battersi, di fare violenza era un dramma interiore... come tutti i drammi veri.

Poi Cassola dice che per lui non esiste la società, ma soltanto gli individui presi singolarmente. Aggiunge che è “ossessionato dai personaggi femminili perché non capisce nulla delle donne” (le trova “assolutamente inesplicabili”). Primato dell’individuo sulla società: è un modo di rispettare il concreto fisiologico contro le astrazioni categoriali. Utili, queste, e inevitabili, ma finché le si usa con l’occhio attento alla carnalità degli uomini vivi e reali. Le donne, un mistero impenetrabile? Aiutiamo Cassola con un monito di Goethe: “Il loro eterno ohi ahi / in un sol punto tu lo curerai”. O qualcosa del genere. Cassola non ha indagato bene quel punto. Forse lo trova troppo prosaico?

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