mercoledì 9 giugno 2010

SUSANNA, Frammento 70


Fu un periodo di grandi e funesti eventi, quel breve precipitare di anni, nel privato di Paolo. Un paio d'anni dopo la morte di Marco (che aveva resistito al tumore polmonare conclamato circa un anno) morì il suocero: aveva superato una ventina di crisi di vario genere nella sua lunga esistenza, e ogni volta dando la sensazione di essere arrivato. Questa volta non ce la fece. Morì di arresto cardiaco durante una complessa quanto inevitabile operazione chirurgica per brutta frattura del femore sinistro. Aveva novant'anni e due mesi.
La scomparsa del vecchio rivoluzionò la vita domestica di Paolo e Rina. Non si "combatteva" più con badanti più o meno deludenti (una per il giorno e una per la notte, negli ultimi tempi), era scomparso il patema d'animo per la salute e i possibili incidenti che il debole ma intraprendente assistito poteva procurarsi uscendo di soppiatto nel breve intervallo tra la fine dell'assistenza diurna e l'inizio della notturna (quando un qualche impegno impediva a Rina di coprirlo lei). Quest'ultima era affidata a una giovane immigrata bulgara, moglie di un operoso connazionale, e madre di due ragazzi, un maschio e una femmina, adolescenti di spiriti moderni, costretti a convivere in patria con una nonna all'antica. Lavoratore instancabile, lui, ma sans papier, per colpa degli "ingaggiatori" che imponevano il “nero” senza scrupoli né pietà. Indi, una situazione precaria della famiglia, la paura di poter essere cacciati. Situazione che coinvolge la maggioranza degli immigrati balcanici della Sicania. Anche, se, nei fatti, le autorità locali lasciano correre. Ma chi può escludere un soprassalto di zelo nei Palazzi romani, e dunque il correlato risveglio coatto delle poltronerie locali?
Altra conseguenza di quella morte: Rina non doveva più controllare l'erogazione di moneta a quel padre di mano generosa, troppo esposto alla tentazione di aggiungere rapsodici extra al compenso routinario di quelle avide donne di avaro impegno assistenziale. E soprattutto, era scomparso il tenace vincolo che inchiodava i due coniugi al paese e alle sue logoranti liturgie della quotidianità banale. Rina, dei due, era la più "liberata" (ma guai a dirglielo): si trovò, di colpo, libera di fare un viaggio al quale teneva molto. Un viaggio dal nome altisonante: Lourdes. Perché con lei non "veniva" anche suo marito?
Paolo non si lasciò convincere: non l'avrebbe accompagnata. Per quanto interessato, come dilettante di antropologia culturale e di storia religiosa, a quella mega-dimostrazione di miseria umana tonitruante in gloria, non credeva di farcela: troppo reattivi i suoi neuroni. Come reggere l'immane spettacolo dell'irrimediabilià fallimentare della specie? O, anche, il peso del faticoso spostarsi da un angolo all'altro dell'immenso spazio fisico di quella pandemia superstiziosa, e del soprastante carnaio? Il curioso era che una vecchia zia di Paolo, molto inzuppata di sincero fervore e di pari miracolismo superstizioso, da tempo assediava il nipote reprobo perché si convertisse. Visti inutili i suoi racconti di mirabilia sacre, aveva puntato sull'effetto Lourdes, e insisteva perché quel nipote "buono" e generoso, quanto testardo, facesse un viaggio a quella Mecca. La cui storia, infatti, narra di tante conversioni. Ancora a 92 anni quella brava donna corazzata di blindate certezze ritornava all'assedio: temeva seriamente che l'inferno potesse inghiottire quel "cuor gentile". Paolo resisteva a negarsi, ma incoraggiava Rina: andasse senza di lui, non c'era nulla di male. Alla prossima occasione avrebbero partecipato due cugine della madre (di lunga frequentazione con la famiglia di Rina ): non le mancava, dunque, la buona compagnia. E Rina, dopo esitazioni variamente colorate, s'era convinta.
Pochi mesi dopo la morte del padre, l'ormai anziana signora partiva, serena e protesa al godimento di una specie di miracolo: sarebbe stata a Lourdes, il luogo santo da lustri bramato, l'attesa di un'esperienza "sublime", un desiderio ritardato nel suo adempimento, ma più che mai vivo. Forse più di quando aveva trent'anni di meno lei e qualche anno il desiderio. Viaggio tranquillo, fatica dolce, seduzione dei luoghi e dei panorami. Le telefonate che Paolo riceveva da quell’avventura erano trilli di gioia: Rina viveva in pieno rapimento estatico. L'unico rammarico, diceva, era di non averlo accanto a sé, quel marito miscredente: chissà, forse la magia del luogo, le sue folle di estatici imploranti avrebbero scosso anche il suo cuore "ferito dai mali del mondo". Ma no, non era possibile che Rina credesse a questa fandonia: lo conosceva troppo bene per illudersi che potesse cedere a una sirenuccia così sprovveduta. Quelle masse deliranti, semmai, avrebbero rinsaldato la sua idiosincrasia religiosa; se un sospiro potesse ancora aggiungersi alla sua non-religione dell'evidenza sconfinata, lo spettacolo sublime delle "folle oceaniche" in vana trance imploranti lo avrebbe aggiunto. Lei stessa corresse il tiro: voleva dire che quelle masse di sofferenti e di postulanti resistenti lo avrebbe comunque commosso umanamente. E questa era una possibilità reale: vedere non è esattamente come immaginare, l'impatto percettivo ha maggiore forza di qualsiasi fantasia ricostruttiva. Così come la visione diretta, carnale e fisica, ha maggiore evidenza delle immagini pur mosse e colorate e sonore dei film, delle televisioni, della nuova magia hi-tech, Internet drogante e plurivalente. Vedere, e da vicino, i corpi e i volti di quell'umanità all'incanto della Grande Menzogna gli avrebbe inferto un diverso pugno allo stomaco, acceso un "valore aggiunto" di pietà rabbiosa per la sorte di quella sterminata "carne perduta": perduta per la verità, la tracimante evidenza multipolare, la pietà empatica, l'onestà intellettuale e la stessa moralità tanto sbandierata. Perduta in cambio di un delirio drogato che esalta consola eccita e fa pagare il conto salato che tante volte è stato vanamente denunciato da pochi "veggenti" pietosi. Tra costoro Paolo poneva in posizione di plurima eminenza Tilman Moser, lo psicanalista che narrava in un agile pamphlet la sinistra avventura della sua teo-dipendenza squassante, annunciata fin dal titolo azzeccato, "Avvelenato da Dio" (Feltrinelli). Molti passi di quella spietata requisitoria contro il sadismo patogeno del precocissimo plagio mistico, attenta fino alle estreme minuzie dell'intossicazione religiosa, sono trascritti sulle pagine delle sue ultime agende-diario. Questa brezza nebbiosa di semipensieri si ricava dagli appunti di Paolo.
E non sapeva, non immaginava, quel déraciné in itinere, non aveva temuto neppure nel più remoto pensiero errante, che proprio quel luogo santo, quel colmo della fede e della fiducia filiale verso la materna Madonna impotente, quella fortezza della protezione divina da millenni disattesa nella realtà dell'imbroglio semovente e dell'illusione rinascente, avrebbe offerto al discepolo dell'evidenza, la massima (anche se, per lui, superflua) prova dell'inesistenza di qualsiasi olimpo, dello sconfinato vuoto metafisico di tutti quei cieli stellati, straripanti di inferni nucleari. Non ne aveva bisogno, il battezzato nel nome del grande Convertito sulla via di Damasco, come non ne ha bisogno ogni vero clericus della verità nuda: ma quell'ennesima prova era speciale, era una di quelle dimostrazioni più che matematiche che dovrebbero stroncare per sempre ogni illusione sul "reggimento divino del mondo". O, come va predicando, nel suo infinito peregrinare per la Terra crudele vanamente inzuppata di religione, il papa superstar di questi anni, su quello che Egli definisce "il Disegno del Dio misericordioso".
*
Dalle varie tappe del lungo percorso in pullman (pernottamenti a Roma e a Torino) erano giunte a Paolo telefonate rassicuranti: tutto procedeva secondo previsione e in linea con le pie (e turistiche) attese. Finalmente da quella specie di Mecca cattolica giunse la prima telefonata, e poi le altre, cui si è accennato: Rina irradiava estatica gioia: il sogno della sua vita era realtà, il "miracolo", rinviato di anno in anno per decenni, s'era compiuto. Paolo si diceva contento per lei. E intanto pensava a come quelle dosi massive di anfetamine religiose annegassero nell'euforia mistica tutte le sue contestazioni, per quel tanto, quel poco o propter nihil, che avessero potuto introdursi nel cuore resistente della moglie.
Ed ecco, a un dato preciso scatto del tempo, in un appuntamento imprevedibile fissato da menti aliene, esplodere l'Inaudito. L'inimmaginabile. L'impossibile. Un kamikaze si fa esplodere in mezzo alla folla dei pellegrini, dentro il grande tempio. Una strage. Notizie confuse, incalzanti, frammentarie, poi via via meno vaghe, più condensate sui fatti. Le televisioni impazzite dietro l'evento clamoroso. Tutti interrotti i loro programmi da palinsesto, per dare spazio a una serie di telegiornali in edizione speciale concentrati sull'inedito orrore. L'ansia di Paolo cresceva, nelle ore lente di quell’assurda sera estiva, con il sommarsi dei particolari nei successivi Tg. Era impossibile che si potessero conoscere i nomi delle vittime quella sera stessa, ma si davano già le quantità probabili delle morti immediate e la nazionalità dei colpiti: le vittime erano sul centinaio, ma la quantità era destinata a crescere. Fra loro, molti erano gli italiani. Pareva che l'attentatore si trovasse vicino ai gruppi italiani convenuti da varie parti d'Italia.
In casi simili, si sa, la tendenza autodifensiva spinge gli interessati, e insomma i parenti delle possibili vittime, a rifugiarsi con speranza nel calcolo delle probabilità, sentito nella sua forma più grezza e ingenua: giusto a mia moglie "doveva" capitare di trovarsi vicino al folle? Proprio mia figlia, mio figlio, i miei nipoti dovrebbero essersi trovati nelle vicinanze del criminale? E così via, nella rincorsa della speranza, e magari del miracolo esclusivo. Paolo non era un ingenuo, ma neanche lui si sottraeva alla febbre generale. E quando seppe che Rina era fra le vittime, ebbe un collasso. La presenza dei figli, che dalla prima notizia sul disastro non lo lasciarono più solo, evitò il convenzionale peggio.
*
Nei giorni del lento recupero, dopo la breve degenza ospedaliera nel Presidio di Realpolia, Paolo seguì, con i figli, e nuora e genero, le fasi del lungo calvario, dal riconoscimento del corpo ai funerali pubblici, dai messaggi delle autorità statali e religiose all’usurata ma sempre arzilla e rivitalizzata retorica d'occasione, non per nulla catalizzata dai servizi televisivi. Dovette subire la solita indiscreta intervista dalle tivvù locali e nazionali. Un'intervistatrice, stranamente informata della sua identità di professore in pensione scrittore pubblicista eccetera, gli chiese come mai egli, non credente, non abbia tentato di impedire quel viaggio fatale. All'idiozia umana davvero non c'è limite. La "stranezza" dell'informazione sulla propria condizione di ateo fu cancellata da un altro intervistatore sconosciuto, il quale notificò all'intervistato di avere trovato in diversi siti internet i suoi libri e di avere comprato e letto il volume sul materialismo illuminista francese: chiaro, dunque, il perché della sua assenza da Lourdes.
*
Quando tornarono giorni meno convulsi, Paolo scrisse qualche riflessione, riprendendo l'abitudine quasi del tutto smessa del "diario in agenda". Eccone degli estratti, parafrasati o "interi". Fatti e cifre. Novantacinque i morti, duecentotredici i feriti. Modalità del decesso: una cinquantina "dentro" l'esplosione, il resto nel terribile indotto del panico, della folle corsa alla salvezza che si capovolge in tunnel della morte: decine di uomini e donne, più o meno anziani, morirono schiacciati dalla massa impazzita. E perfino soffocati nell'orribile calca: non era difficile, molti di quegli anziani avevano già dentro la misera carne la grinfia di qualche malanno, di cuore soprattutto. E i feriti, anch'essi, per la maggior parte, prodotti dall'amalgama infernale. Un fenomeno puntualmente reiterato in occasioni di panico collettivo: quante volte le cronache ne avevano registrato l'orrore da un anno all'altro, dall'una all'altra occasione: stadi del calcio, pellegrinaggi alla Mecca (più volte insanguinati dallo scialo da panico assassino), incendi in teatri e cinema... "Una sommatoria anche approssimativa di tutti questi incidenti darebbe un totale comparabile alle stragi di una media guerra mondiale con armi convenzionali. Ma vai a dire in giro che la parte maggiore di questa ecatombe compete alle suggestioni religiose ... Chissà dove riposa la lunga poesia (una 'canzone leopardiana': mix di endecasillabi e settenari) che scrissi sul più tragico degli incidenti targati la Mecca, quello del tunnel (oltre mille morti, se non ricordo male)"
*
In uno di quei giorni del riflusso normalizzante a Paolo capitò di guardare in Tv un servizio su Lourdes, ricco di dettagli e ovvie fandonie interessate. Più che l'allucinazione della fanciulla Bernadette Soubirou e il facile credito bivalente (spontaneo-candido e peloso-progettuale), lo colpì il successo spropositato della speculazione mercantile impiantata su quel fertile terreno di fatale suggestione: cifre da capogiro sventolavano insieme vessili dell'assurdo e calcoli fin troppo realistici: 230 Alberghi di vario livello (per tutte le altezze mammoniche dei buoni e fervidi credenti), 700 milioni di visitatori in un secolo e mezzo; un mercato immenso, frammentato in varie posizioni e postazioni; 67 miracoli (appena!) riconosciuti dai marpioni eminenti della Chiesa prudente e calcolante in scialo di furbizia, su migliaia o milioni di pretese miracolistiche. E così via salendo. Incalcolabili i casi di conversioni esemplari (se non ‘miracolose’). Per esempio, tal Giovanni Battista Tomasi (1903) va a Lourdes disperato e ne torna rivoltato, gonfio di fede speranza e carità. E fonda l'istituzione umanitaria di assistenza ai malati ancora in auge di florida produttività. Ma sono, soprattutto, loro, i malati, gli storpi, i semi-moribondi il materiale antropico più sbalorditivo: quasi tutti tornano alle loro case con gli stessi malanni, ma la maggior parte rinfrescati dalla fede, dalla speranze del premio celeste, dalla rassegnazione attiva. Che arriva a spingere alcuni a benedire le sofferenze personali e universali. No, niente meraviglia: è il solito capovolgimento della realtà, la solita rimozione consolante, il solito, secolare, eterno "mistero buffo" dell'anima umana. Così trasparente, peraltro, da fare soltanto rabbia impotente: l'uomo medio, per un grano d’illusione drogante è capace di negare ogni evidenza, di mascherare qualsiasi brutalità e orrore, di dire, anzi proclamare, perfino (come quel cialtrone di popolano presente alla strage sismica degli scolari di San Giuliano molisano) che "il Signore ha voluto portare in paradiso" quegli innocenti immolati dalla bastardaggine umana, che aveva costruito quella scuola fuori da ogni normativa antisismica. Quella tenera carne era diventata, secondo l’infame esaltato, uno stormo di teneri angeli.

*
Ancora appunti di Paolo: da un' agenda più recente, dove giustifica una lunga trascrizione segmentata come esempio e prova di quanto possa l'incapacità di homo medius di accettare la fatalità biologica della morte. Si tratta di un brano del più fortunato, congesto, diseguale, ma a tratti intrigante romanzo del romaziere italo-americano Don DeLillo, Rumore bianco, e precisamente lo sproloquio di un suo centrale personaggio mentre gira per i corridoi di un seduttivo supermarkt:
"Questo posto ci ricarica sotto il profilo spirituale, ci prepara, è un passaggio o una transizione. Guarda quant'è luminoso. E' pieno di dati sovrannaturali. // Mia moglie gli sorrise. //─ Tutto è celato nel simbolismo, nascosto da veli di mistificazione e strati di materiale culturale. Ma si tratta senza ombra di dubbio di dati sovrannaturali. Le grandi porte si aprono scorrendo e si chiudono spontaneamente. Onde di energia, radiazione incidente. E poi ci sono lettere e numeri, tutti i colori dello spettro, tutte le voci e i rumori, tutte le parole in codice e le frasi convenzionali. E' soltanto questione di decifrare, ricombinare, eliminare gli strati di impronunciabilità. Non che sia il caso, non che ne possa derivare alcuno scopo utile. Questo non è il Tibet. E neanche il Tibet è più quello di una volta. //Continuai a esaminare il profilo di Babette, che mise dello yogurt nel carrello. //─ I tibetani cercano di vedere la morte per ciò che essa è. Ovvero la fine dell'attaccamento alle cose. Una verità semplice ma difficile da capire. Tuttavia, una volta che si sia smesso di negare la morte, si può procedere tranquillamente a morire e poi ad affrontare l'esperienza della rinascita uterina, o l'aldilà giudaicocristiano, o l'esperienza extracorporea, o un viaggio su un Ufo, o come che lo si voglia chiamare. E possiamo farlo con chiarezza di visione, senza timore riverenziale o terrore. Non dobbiamo aggrapparci artificialmente alla vita, e neanche alla morte. Non si fa altro che procedere verso le porte scorrevoli. Onde e radiazioni. Guarda come è tutto ben illuminato. Questo posto è sigillato, conchiuso in sé. E' senza tempo. Un altro motivo per cui penso al Tibet. Morire, in Tibet, è un'arte. Arriva un sacerdote, si siede, dice ai parenti in lacrime di andarsene e fa sigillare la stanza. Porte e finestre, tutte sigillate. Ha cose serie da fare. Salmodie, numerologia, oroscopi, recitazioni. Qui non moriamo, facciamo acquisti, ma la differenza è meno marcata di quanto si creda".
*
Chi era l'attentatore e quale il senso dell'attentato? Se ne discusse a lungo, e ancora oggi, a distanza di anni, differenti interpretazioni si contendono il campo. Il kamikaze era una sorpresa al quadrato, un'improbabilità logistica montata sopra una quasi impossibilità pratica. Non era un uomo, un giovane, un ragazzo delle madrasse incubatrici di polli martiri avvelenati da un Allah di comodo; non era un sanguinario robot ideologico montato da capi-branco decisi a tutto contro il Grande Nemico. Era una donna, una franco-algerina, cioè una giovane algerina di famiglia "naturalizzata" da un paio di generazioni. Alcuni ponzatori accademici e mediatici hanno voluto collegare il "folle gesto" col precedente, e soprattutto successivo, terrorismo islamico, che a metà degli anni Novanta, o giù di lì, non era né così largamente espanso né tanto bene caratterizzato e ferocemente determinato contro l'Occidente ricco prepotente arrogante e in una parola satanico. Anzi, crociato. Altri hanno utilizzato indizi raccolti dalle investigazioni di varie agenzie (polizia servizi segreti, ecc.) dei Paesi toccati dall'attentato: Francia, in primis, poi Italia, Spagna, Algeria. Gli indizi porterebbero, secondo la loro interpretazione, a una setta satanica (quale aggettivo fortunato e ossessivamente ricorrente nella gloriosa storia assassina dell'imbecillità umana!) in qualche modo riallacciabile a quelle che negli anni Sessanta, e più nei Settanta e Ottanta con rigurgiti e code in questi Novanta, fecero clamore con i loro omicidi-suicidi di massa e con omicidi orribilmente scenografici. Tra questi, il truce assassinio-ludibrio dell'incantevole attrice Sharon Tate da parte del satanista Charles Manson, con la contestuale strage consumata nella dimora del regista Roman Polansky, ex marito di Sharon (ricordo con un brivido il "semi-demenziale" film horror "Per favore non mordermi sul collo", 1967, che aveva a protagonista "l'angelica Sharon").
Si sproloquiò parecchio, nei primi giorni dall'attentato: il collegamento sfocato al Manson alimentò altre suggestioni e illazioni: si giunse a rimestare la lugubre storia del "mansonismo" contagioso, tirando in ballo i (solo presunti?) nessi fra il rock' n' roll e il satanismo; e persino certa musica dei Beatles e suoi (questi sì, del tutto a vanvera presunti) messaggi diabolici criptati. Era stato lo stesso Manson, nelle sue deposizioni in tribunale, a montare questa balla: la musica dei Beatles, in particolare quella di Paul McCartney e di John Lennon, conteneva occulti messaggi di morte, e uno, specialissimo, di questi lo aveva indotto, con irresistibile forza cogente, all'orrendo crimine. Il pezzo direttamente incriminato era il celebre "Helter Skelter", composto da Mc Cartney, e incluso (così leggo in una notizia Internet) "nel bellissimo White Album dei Fab Four" (apparso nel novembre del '68). Altre cretinate ad alto rischio pretendevano che "leggendo" in senso rotatorio invertito i dischi del vecchio rock ne sgorgassero i famosi messaggi demoniaci. Stesso fenomeno si sarebbe verificato per certe compilations dei Beatles. Né si resistette alla tentazione di ripetere la macabra storia delle morti atrocemente premature di tanti rockettari di larga fama (la cosiddetta "maledizione del J-27"): Brian Jones, il "precursore", anzi l'iniziatore della serie macabra, morto il 3 luglio 1969, annegato nella sua piscina (qualcuno ha sottolineato, con esoterica malizia, la coincidenza con il primo sbarco umano sulla luna: stesso anno, stesso mese); Jimi Hendrix, overdose, "soffocato dal suo stesso vomito" (1970); Janis Joplin, la "signora del rock", considerata la maggiore interprete storica del rock-blues (1970); per finire col grande Jim Morrison, stroncato da un infarto dentro la sua vasca da bagno (3 luglio 1971). A meno che non si voglia ricordare anche Jeff Buckley, annegato nel 1994, per richiamare il rilievo interpretativo dell'acqua come esoterico elemento fatale e comune denominatore di queste "morti anomale".

Luglio 1969: la legge associativa per concomitanza temporale richiama l'evento massimo di quel mese ed anno. la "conquista della luna". Il pot pourri événementiel avanza indisturbato. Né in quel 29 luglio di euforie imperiali e fantascientifiche il macello vietnamita conosceva tregue: quisquilie, dinanzi al sogno di John Kennedy realizzato, sei anni dopo il suo assassinio, col sorpasso dell'Urss nella gara spaziale, dopo lo choc degli sputnik a catena negli anni '57-59. Robert Kennedy, anche lui, come il fratello presidente a Dallas, impallinato a morte l'anno prima? Capricci della Storia: riposino in pace con gli altri martiri delle Idee buone. Lo "sbarco" sul vecchio satellite, presente e protagonista in millenni di poesia (e di religioni), spalmava balsamo sulle ferite e l'America cavalcava la Storia di nuovo in testa anche nella seducente accoppiata scienza-tecnologia. Il "sogno americano" tornava a galoppare. E uno pensa anche all'Ecclesiaste: vanitas vanitatum, et omnia vanitas (Thanatos auctore).
*
Man mano che le indagini accumulano altre notizie e indicazioni, la visione puramente religiosa si conferma. La setta alla quale sembrano associate le due donne kamikaze avrebbe in programma una serie di attentati dimostrativi che rendano evidente il potere dell'"Unico vero Signore del mondo", Satana, appunto. Attentati nei luoghi dei culti cristiani, soprattutto della prevalente e potente versione cattolica, straricca di luoghi santi e sacri spazi di raduno massivo. Si paventa, e di fatto si attende, come un inevitabile evento naturale di prossima verifica, un attacco a Medjugorje. E forse altri a San Jacopo di Compostela, a San Giovanni Rotondo. E via pronosticando, tra brividi di paura ed eccitazione sado-maso. Altri commentano un sibillino proclama della setta, con minaccia di interventi contro tutte e tre le "grandi religioni monoteiste".
Medjugorje, come San Giovanni Rotondo, come un po' tutti i grandi siti del raduno massivo delle "anime credenti" è ancora, mentre scriviamo, al colmo dell'interesse vaticano e mediatico. Ma il sito balcanico è il caso più controverso. Quel miracolare non stop dell'ennesima madonna parlante ha generato un tale business miliardario da sollevare preocupazioni molteplici nella Madre di ogni autenticazione delle più colossali menzogne (idest, verità religiose). In Vaticano si esita ancora a legittimare quell'imbroglio che ha acceso un non sanato conflitto fra il vescovo di Mostar e i degeneri figli di un San Francesco tradito, inventori e gestori disinvolti della megatruffa caca-denari. Uno sperduto villagio insignificante s'è gonfiato a congesto centro di sacro commercio turistico con cinquanta alberghi e comfort per ogni tasca. Una replica, ancora minore (ma dagli tempo!) della tracimante Lourdes. La Santa Sede nicchia, sta col vescovo, attende e non dichiara. Il conflitto poltrisce, ma la beata e beota massa credente non se ne dà pensiero; continua a brancheggiare verso quei liti, masticando speranze e allucinazioni, alimentando l'unico culto effettualmente (avrebbe detto Sciascia) praticato: quello di Mammona. Risolta, invece, la question del sito e contesto Padre Pio. Beatificato, il frate di Petralcina pullula in statue di ogni calibro materia e somiglianza (fino alle caricature involontarie) per ogni angolo della Sicania e, forse con appena minore enfasi presenzialista, dell'Italia tutta. Anche qui, affari d'oro. E gruppi di preghiera, pellegrinaggi, percorsi di speranze mediche e apotropaiche; e questo e quello e quant'altro. Paolo pensava a Rina, che avrebbe gradito anche un viaggio a Medjugorje, accennando, di tanto in tanto, a vaghe possibilità e fattuali difficoltà.
*
L'attentatrice s'era finta paralitica e si muoveva seduta nella sua carrozzella, spinta da una complice. La quale s'era allontanata con un pretesto pochi minuti prima dell'esplosione, ed aveva telecomandato, a distanza di sicurezza, l'esplosione della cintura della finta paralitica. Forse avevano atteso un momento culminante del rito. Si era salvata, l'attentatrice del telecomando, rifugiandosi in un angolo protetto del grande tempio.
Alcuni mesi dopo il massacro la configurazione dell'evento appare "logicamente" definita. A dare un contributo significativo alla compiutezza del quadro fu la donna del telecomando in un video inviato alla famosa televisione araba Al Jazira. La setta dell'attentatrice si chiama "Le spose di Satana". Una specie di sacerdotessa-profeta di nazionalità ancora imprecisata ha creato una sua teologia capovolta, con annessa un'anti-teodicea, assistita dall'immancabile sant'Uomo, unico maschio tollerato all'interno della setta. Un anziano guru che si definisce e proclama la "gola del sacro Satana", se ne sta solitario in un rifugio accessibile a poche privilegiate, che lo consultano e (si dice) vi si accoppiano a turno in piccole orge sacre che servono a ricaricarne periodicamente le attivissime “batterie” operative. La fonte di queste news? O le fonti? Vaghe, nebulose, remote da ogni possibilità di verifica di tipo "occidentale". Almeno per ora. La “rete” ci sguazza dentro ghiottamente.
La "theologia" satanistica, rivendicando l'unità e unicità ipercosmica dell'Onnipotente Sovrano intergalattico, e criticando le altre religioni come contraffazioni bugiarde e contraddittorie dell'unica sapienza, nega (ovviamente, diremmo) che il nostro sia il leibniziano e panglossiano "migliore dei mondi possibili". I seguaci, anzi le seguaci (se si vuole escludere dall'aritmetica massiva quell'extra assoluto e fuori conteggio che è il super-guru), respingono ogni giudizio etico sul carnaio drogato della biologia terrestre (inclusiva dell'intera biogamma, dal minimo batterio all'uomo), pronunciano un ignaramente nietzschiano “sì” alle sue innumerevoli "stravaganze" sadiche e scherniscono le religioni "boniste". Anzi, dicono, finto-boniste, in realtà soltanto vigliaccamente ipocrite e pronte a capovolgere nei fatti e nelle opere la dolce mitezza dei conclamati valori. Ed anche a ignorare la segreta molla delle loro "opere buone": l'egoismo iperbolico della pretesa vita eterna a premio di salvezza dalla morte per ridicoli atti di rinunzie e facile carità. Nella polemica spicca il rilievo insistito delle contraddizioni in cui si avvolgono le altre religioni e teologie: da quelle antiche e politeiste ai successvi monoteismi, che sono l'"ultima vergogna dell'uomo pervertito". Quel dio onnipotente e infinitamente buono e misericordioso che produce (in quanto Causa prima) l'infinita crudeltà del mondo (e in particolare della storia umana, questa sconfinata serie di pratiche stragiste e invenzioni sadiche prive di distinguo fra adulti colpevoli e infanti innocenti) è un capolavoro di assurdità tanto ridicole quanto micidiali. Il teologo di Satana sostiene che è lo stesso Unico a giocare con la mente dell'uomo, a fargli sparare enormità illogiche e commettere atrocità senza misura. L'evidenza dei millenni memorizzati, dell'impianto stesso della vita costretta a produrre morte e sofferenza per alimentarsi e consistere, la titanica potenza distruttiva dei flagelli naturali (dalle pestilenze agli sconvolgimenti sismici, dalle carestie ai disastri vulcanici e alluvionali) e tutto quanto rivela la potenza del "Re dei re" astrale, insegna l'unica verità del mondo. Chi la riconosce e l'accoglie ha buone speranze di salvarsi. Migliori ne ha chi si batte per la Verità assoluta, e ancora maggiori chi immola la vita per dimostrare la potenza dell'unico Dio superinfero. I fedeli del nuovo Verbo hanno appreso dai loro profeti seriali che il Grande Satana li rifarà interi e migliori subito dopo l'esplosione che li frantuma seminando morte, a sublime testimonianza della Potenza suprema e unica. Non solo li ricostruisce migliorati, ma li premia in lontani mondi ricchi di ogni delizia. In questi siti astrali non ci saranno insulse trombe a suonare la gloria delle falsità adorate inutilmente e con irreparabile danno dai sei miliardi di fedeli variamente distribuiti fra le varie "chiese", ma si godranno tutti i piaceri che l'essere umano, maschio e femmina, agogna nella sua inesorabile carnalità olistica decisa dall'Immenso all'atto della Creazione. La quale, si capisce da quanto s'è detto fin qui, è soltanto un complesso giocattolo approntatosi dall'Artista assoluto per sue misteriose ragioni che verranno, forse, chiarite nella seconda vita, a chi se la sarà guadagnata. Il Creatore non è il Demiurgo, tarato e cattivo immaginato dal filosofo Cioran, (o dall'ultra-pessimista Caraco) né, s'è detto, il banale ossimoro delle religioni monoteistiche (l'infinitamente buono che produce massacri e inferni per spaventare i deboli di testa): è – dicono le evidenze terrestri e celesti – un Super Ente assoluto, al di là del nostro bene e male, della bontà e della crudeltà, della generosità e della negazione. Ma può essere buono e cattivissimo, generoso o avaro di compiacenze, ogni cosa, insomma e il suo contrario. Nella più assoluta libertà o necessità (le due condizioni in lui, e solo in lui, coincidono). Che gli consentono di assumere ogni forma e in ogni avatar incarnarsi e ludicamente moltiplicarsi per suo esclusivo e segreto "spasso". E' ovvio pensare che non disdegni di rintanarsi nel cervello dei grandi massacratori storici, magari lasciando i comuni assassini e torturatori alla loro "libertà" di robot citologici. Malavitosi organizzati, pedofili di ogni condizione, sesso e stato sociale, sadici e serial killer fanno, insieme, la folta categoria, ampiamente diffusa in tutto il pianeta. E sempre prospera. Meno popolata la sotto-categoria degli assassini occasionali: madri e padri che uccidono i figli in impeti improvisi di aggressività motivata, e viceversa; ladri e sequestratori, e via celebrando il trionfo del male estroso. Ma, del resto, il Divino Satana, strettamente parlando, è in ogni cosa, animata o no.
Non sembra operare miracoli, come li intendono i non credenti (cioè, tutti i credenti delle altre confessioni religiose), ma certe singolarità segnalate dai fisici di frontiera sembrano averne l'aria. Probabilmente anche questo aspetto del mistero ci sarà chiarito "di là", in quell'Altrove riservato ai salvati (cioè a una minoranza di eletti). "Altrove" che non è fuori di questo mondo (come si accennava sopra) ma in certi suoi angoli segreti del tutto materiali. Domande quali "il mondo è uni- o pluri-verso?" , implica, o no, il famigerato Id, "intelligent design", e simili, vengono liquidate come futilità insensate: data la infinita potenza del Grande Satana, quelle distinzioni e preoccupazioni non hanno senso. Non esistendo un Chi o un Che Cosa possa limitare l'estro inventivo del Supremo, è assolutamente vietato (perché ridicolo) attribuirgli un unico volto antropomorfico (tanto meno fisico e morfologico). La ragione è che l'Immenso può assumere, e di fatto assume (anche se in siti non sempre riconoscibili), una molteplicità inesauribile di "volti". I quali, poi, sono tali relativamente: cioè, nei nostri miserabili rapporti con l'Horror seduttivo dell' Olon assoluto.
Abbiamo parlato di nuovi credenti e fedeli, ma bisogna aggiungere e precisare che maschi e femmine sono nettamente separati in quanto religiosi. Le loro riunioni sarebbero sempre mono-sessuali, i loro riti idem. Non solo, ma i fedeli maschi con funzioni “sacerdotali” hanno un superguru femmina: col quale si accoppiano rirualmente, come le sacerdotesse fanno col guru anziano e inaccessibile ai profani.
*
Paolo, in certi suoi appunti, nota la somiglianza di queste nuove e stravaganti visioni teocosmiche con certe mitologie antiche, soprattutto del Medio Oriente remoto. Somiglianze di imput ed essenza, non certo di forme e dettagli, dove le diversità enormi delle conoscenze scientifiche marcano il nuovo. Leggo questo passo del grande etnologo Joseph Campbell: "Torniamo agli antichi sigilli sumeri del 3500 a. C. [...] e ricordiamo il loro simbolismo di una divinità che si genera da sé e che è immanente a tutte le cose. Osserviamo che questa idea è nella sua essenza la stessa della teologia di Menfi, per la quale Ptah è 'in ogni corpo e in ogni bocca di tutti gli dèi, di tutti gli uomini, di tutti gli animali, di tutte le bestie che strisciano e di qualunque essere vivente'." ("Le Maschere di Dio. Mitologia orientale", Oscar Mondadori, 1991, p.133)
Campbell è anche autore dell'"Eroe dai mille volti", dove è mostrata, con la solita dovizia di particolari documentati, il convergere di quei volti nella struttura di un “monomito”. E parallelamente tutta l'antropologia culturale, dal Frazer a Lévi-Strauss, scopre un'altra costante del sentire-pensare religioso: il sacrifico umano. Paolo scrisse più volte nei suoi saggi di antropologia (degli anni Settanta, con "straschichi" sui primi Ottanta) che i sacrifici umani non sono cessati nemmeno per un giorno in nessuna delle religioni. Non esclusi i "grandi monoteismi". Si sono soltanto mascherati e spalmati variamente. Ma non è qui il luogo di indugiare su così spinoso tema. Si aggiunga soltanto che lo studioso assimila (parzialmente, ma significativamente) alle "grandi religioni" le ideologie forti e ogni forma di fanatismo, di credenza passione e pratica che genera dipendenza più o meno assoluta e soffocante.
Fra gli appunti di Paolo trovo questa trascrizione dal romanzo mitico-storico di Paul Coelho, "Monte Cinque" (traduzione di Rita Desti, Rcs Libri:
"Prologo.All'inizio dell'anno 870 a. C., una nazione conosciuta come Fenicia, che gli israeliti chiamavano Libano, celebrava quasi tre secoli di pace. I suoi abitanti potevano ben essere orgogliosi delle proprie imprese: poiché non erano politicamente forti, erano stati costretti a sviluppare una invidiabile capacità di commerciare, unica maniera per garantirsi la sopravvivenza in un mondo devastato da continue guerre. Un'alleanza stipulata intorno all'anno 1000 a.C. con il re Salomone di Israele aveva loro consentito di modernizzare la flotta mercantile e di espandere il commercio. Da allora, la Fenicia non aveva mai smesso di crescere. [...] All'inizio dell'anno 870 a.C., in un luogo lontano chiamato Ninive, era rinuito un consiglio di guerra. Un gruppo di generali assiri aveva deciso di inviare i propri eserciti a conquistare le nazioni situate lungo la costa, sul mare Mediterraneo. La Fenicia era stata scelta come il primo paese da invadere. / All'inizio dell'anno 870 a.C. due uomini nascosti in una stalla di Gi Gileade, in Israele, attendevano di morire nelle ore successive. //"Prima parte. 'Ho servito un Signore che adesso mi abbandona nelle mani dei miei nemici,' disse Elia. / 'Dio è Dio,' rispose il levita. 'Egli non disse a Mosé se era buono o cattivo. Egli disse solo: Io sono. Egli è dunque tutto ciò che esiste sotto il sole: il fulmine che distrugge la casa, e la mano dell'uomo che la ricostruisce'"
*
Inutile insistere sulle evidenti consonanze con quanto s'è scritto sopra, anche sulla teologia satanista. Insomma, fonti diverse e distanti, anche a misura di secoli e millenni, convergono nel combinare un nazionalismo religioso arcigno e spietato con un latente panteismo, a suo modo rispettoso della cruda realtà. Come se i due aspetti della religiosità fossero destinati a tempi ed occasioni diverse, quasi ad evitare l'emergere rischioso della loro intrinseca contraddizione. La coerenza etnica e nazionale importa l'esclusivismo teologico, la necessità della comprensione consolatrice consiglia di dilatare il divino all'intero cosmo-caos, dove anche la disperazione può capovolgersi in speranza e fiducia. "Può", ma non "deve" necessariamente: l'esclusivismo tribale, anzi, tende a prevalere: colonizza lo stesso latente panteismo e lo trasforma in droga che media l'assimilazione dell'assurdo più orroroso.
In un'altra pagina, l'agenda-diario Paolo ritorna sulla conversazione di Elia col levita e ne trascrive il lamento:
"Parlare era l'unica maniera per dissipare la paura. Da un momento all'altro i soldati avrebbero aperto la porta della stalla dove si trovavano, li avrebbero scoperti e offerto loro l'unica scelta possibile: adorare Baal, il dio fenicio, o essere condannati a morte. Stavano perquisendo casa per casa, convertendo o candannando a morte i profeti. / Forse il levita si sarebbe convertito e sarebbe così sfuggito alla morte. Ma Elia non aveva scelta: tutto stava accadendo per colpa sua, e Gezabele voleva comunque la sua morte. // 'E' stato un angelo del Signore a costringermi a parlare con il re Acab e ad annunciargli che non avrebbe piovuto finché Baal fosse stato adorato in Israele', disse, quasi chiedendo perdono per avere prestato ascolto alle parole dell'angelo. 'Ma Dio agisce lentamente; quando la siccità comincerà a fare effetto, la principessa Gezabele avrà già distrutto coloro che saranno rimasti fedeli al Signore' /Il levita non disse nulla. Stava riflettendo se convertirsi a Baal o morire in nome del Signore. // 'Chi è Dio?' proseguì Elia. 'E' forse Lui che impugna la spada del soldato che uccide quanti non tradiscono la fede dei nostri patriarchi? E' stato Lui a porre una principessa straniera sul trono del nostro paese, in modo che tutte queste sventure potessero accadere alla nostra generazione? Dio uccide i fedeli, gli innocenti, coloro che seguono la legge di Mosè?' // Il levita prese la sua decisione: avrebbe preferito morire. A quel punto cominciò a ridere, perché l'idea della morte non lo spaventava più. Si rivolse al giovane profeta al suo fianco e cercò di tranquillizzarlo: 'Domandalo a Lui, giacché dubiti delle Sue decisioni,'. 'Io ho accettato ormai il mio destino' / 'Il Signore non può desiderare che siamo tutti spietatamente massacrati,' soggiunse Elia. // 'Dio può tutto. Qualora si limitasse a fare soltanto ciò che chiamiamo Bene, non potremmo definirlo onnipotente. Egli dominerebbe soltanto una parte dell'universo, ed esisterebbe qualcuno più potente di Lui, che sorveglia e giudica le Sue azioni. In tal caso, io adorerei quasto qualcuno più potente' // 'Se Egli può tutto, perché non risparmia dalla sofferenza coloro che lo amano? Perché non ci salva, invece di concedere potere e gloria ai Suoi nemici?' //'Non lo so,' rispose il levita. 'Ma una ragione c'è, e spero di conoscerla presto.' // 'Non hai alcuna risposta per questa domanda.'//No, non ce l'ho."
*
E così, da millenni, tra sofismi e rese a discrezione, paradossi e violazioni di ogni decenza logica ed empirica, l'homo credens ha accettato ogni orrore: fino alla Shoah. E se non ha risposta per certe truci incongruenze, pazienza: attende, fiducioso, che, magari nell'altra vita, dio gliela dia. Né lo turba l'evidenza che un siffatto onnipotente, mezzo o tutto panteistico, diventa, in questa gobba logica, l'autore diretto di Hitler e dei suoi esecutori, di gengis Kahn e dei suoi guerrieri, che cuocevano vivi i prigionieri di guerra. Ed erano capaci di sterminare l'intera popolazione di una qualsiasi Pechino che gli capitasse di conquistare. E così via, nell'immensità crudele della pretesa creazione.
"Dio può tutto", "Dio è tutto": come distinguerlo, allora, dal presunto nemico metafisico, da Satana, sovrano sconfitto, secondo la vulgata scempia, sovrano degno dell'inchiostro ammirativo degli artisti e poeti decadenti. Secondo una logica mitica, certamente, ma meno balorda di quella biblica. Dove la contraddizione più oscena trionfa ad ali spiegate, fra indiscriminate stragi e nefandezze incalzanti, e la contrizione genuflessa dei devoti copre il sadismo sanguinario di ogni religione. Il peggio è che Coelho si guarda bene dal denunciare lo scandalo etico-aletheico della confusione ontologica fra il dio persona nazionale e il dio panteistico prespinoziano, che troviamo fin dalle più remote concezioni religiose. Il nostro Elia avrebbe potuto obbiettare al levita che in quel Dio onnipotente era impossibile vedere un antagonista di Baal: il Signore e Baal sarebbero la stessa e medesima cosa, la stessissima mostruosa capricciosità. Una conclusione che, in modi e condizioni diverse, ma con monolitica logica mitica, è stata tratta dalle varie sette sataniiche e da esperienze analoghe per quanto stravaganti.

Nessun commento: