lunedì 28 giugno 2010

SUSANNA, Frammento 72


I soli precedenti recensiti dalla grande stampa nazionale ed estera furono del genere sopra accennato: sette sataniche o astrusamente balorde fiorite nella giungla degli eccessi cerebrali (vengono ricordate pure le “Bestie di Satana” e “I bambini di Satana”, con i loro omicidî rituali, che agitarono la cronaca pluri-mediatica per tanto tempo). O fenomenologia del rock satanico, fra droghe della chimica esterna e iterazioni ossessive di ritmi e suoni droganti dall’interno, per via biochimica sollecitata “out of bounds”.
A Paolo Assaggi venne in soccorso un precedente più remoto. E più significativo: le streghe. Non erano loro le “spose di Satana”? Spose, amanti, concubine, vittime sedotte: quale differenza, tra queste risibili distinzioni dell’umano convenzionalismo socializzante? Ma sì, erano state loro le prime spose di Satana, quelle intense figure antropologiche double face, prima trionfanti e poi tragicamente sconfitte: le donne del vecchio satanismo dalle troppe radici e maschere.
Nella sua “avventura quotidiana” (usava questa formula, a volte, con quel pizzico di ironia che l’uso comporta) di insegnante (evitava, in privato, il pomposo nome di professore o, peggio, docente) di storia, Paolo aveva colto più volte l’occasione di leggere, anzi far leggere agli studenti, sotto la sua guida selettiva, pagine dei processi alle streghe. Cominciando dalle seconde classi dei suoi licei, dove si studiano le corrispondenti epoche storiche di torva intolleranza religiosa assassina e stragista. Esperimento non privo di incisivi effetti sull’uditorio femminile e maschile. Nel primo, di più concitato orrore, magari alonato dal sospiro di sollievo per i tempi mutati, e rilanciato dalla solidarietà con quelle ostie carnali inventate dalla ferocia umana accesa dalla superstizione. Nell’altro, con una pietà meno empatica e poco guardinga verso la stupida tentazione di qualche risolino scemo acceso dagli orribili particolari di quelle torture: impalamento, strappo dei seni a tenaglie infuocate, trafitture di aghi in tutto il corpo nudo, alla ricerca del fantasticato “punto insensibile”, preteso segno della possessione diabolica. E simili lordure di homo religiosus in veste talare con autorità di vita e di morte verso vittime indifese. E dire che, se un senso avesse quell’espressione, non potrebbe che adattarsi alle voglie di quei sadici con licenza di uccidere torturando.
*
Non fu senza riflessi scolastici neppure la lettura personale del famoso saggio storico di Jules Michelet “La Strega”, un capolavoro, per Paolo, di bella, vivace, colorita scrittura (e sia pure con qualche scivolata nel “sincopato”), oltre che una miniera di ghiotte notizie dal forte impatto emozionale. Le critiche mosse al libro da certa accademia afflitta da pignoleria causidica e povera di gusto letterario (non di rado, poi, ideologica e prevenuta) non ne limitavano i pregi, ai suoi occhi di loico ben nutrito di antropologia culturale. Era soltanto una suggestiva invenzione romantico-letteraria, la sua “Strega, fosse pure nei suoi eccessi testimoniali? Paolo non lo credeva, e riteneva valida, nella sostanza, la ricostruzione (condivisa da Franco Fortini) di quella figura estrema come risposta drammatica alle infinite violenze del sistema feudale sulle classi contadine e alle blasfeme complicità della Chiesa cattolica col Castello dei Signori, prepotente e crudele. Si pensi alle troppe corvée, allo jus primae noctis, a quel tacito, e a volte conclamato, “diritto di prensione” che sospendeva a un’indifesa precarietà estrema ogni possesso del servo della gleba come del villano semi-libero. Moglie e figlie comprese. A meglio dettagliare, si aggiunga l’estenuazione della fede nelle figure della religione imposta. Né Padreterni né Cristi né Madonne né Santi, constatavano le vittime del “sistema”, davano mai leggibili segni di benevola presenza potenza esistenza. Fossero, quelle vittime, torchiate nella morsa delle quotidiane strettezze e sofferenze, o si constatassero bersagli privilegiati nelle catastrofi dei grandi flagelli, pestilenze e/o carestie, uragani o furia di vulcani: le preghiere le offerte i sacrifici davanti agli altari di umile materia delle capanne, o di marmoreo e gemmato splendore delle cattedrali ruffiane, restavano sterili gesti dell’impotenza illusa e della coattiva illusione ricorrente di fronte a icone mute.
E allora si tendeva l’orecchio ai residui del vecchio paganesimo, mai del tutto spento. Erano diavolini e diavolacci quegli dèi gloriosi, abitatori di templi sfarzosi (così li aveva declassati la Chiesa)? La povera contadina, sola in casa, non sicura di potersi conservare intatta per il vilipeso marito che si spezza la schiena sopra la zolla avara, sente un vellicamento di curiosità salire da quei piccoli tentatori (bambini, folletti, coboldi...). I quali magari mandano fuori dalle fiamme del focolare una vocina suadente: “Mi hai chiamato? Eccomi”; oppure: “Chiamami e ti farò contenta”. Resisti oggi resisti domani, esasperata in crescendo dalla sordità dell’olimpo legale, la donna finisce col dare ascolto al tentatore eslege. E’ così grazioso, così convincente: le appariva nei modi e tempi più impensati. La denutrizione accende il cervello di visioni a evidenza stereoscopica, e le lunghe solitudini favoriscono miraggi e allucinazioni. Inciso: oggi sappiamo che basta un eccesso di dopamina a provocare visioni, voci, flash di realtà di perentorio convincente rilievo. Si scivola nel “perché no?” del tentare: è poi così brutto praticare col bambolino stuzzichevole? Da questa ipotetica origine lontana si arriverà alla guaritrice esperta di erbe e intrugli, alla strega classica, al sabba, al contorno di invasate/i. Insomma, al “patto col Diavolo”. Ma (avverte l’esperto) non bisogna fare di tanti fiori distinti e di varia radice un sol mazzo omogeneo: molte differenze tra un tipo e l’altro della stessa figura standard resistono al livellamento di comodo o di pigra semplificazione operato da vari studiosi. E tuttavia qui sarà lecito un tasso meno arcigno di acribia etnologica e storica. Dando, tra l’altro, per scontato che il fenomeno non fu, in nessuna epoca, massivo, ma sempre minoritario: per quanto si allargasse nel tempo.
*
Negli appunti lasciati da Paolo stagnano molti passi del Michelet trascritti (dall’edizione Bur, 1977), talvolta come epigrafi, in varie pagine di diario. Eccone alcuni.
“Non credo affatto, come piacerebbe ai monaci che ci hanno raccontato la stregoneria, che il Patto con Satana fosse un colpo di testa avventato, di un innamorato, un ingordo. Il buon senso, la natura ci fanno capire che era l’ultima risorsa, persa ogni altra speranza, che vi approdavano sotto la tremenda pressione delle infamie e delle miserie.”

Quando furono proibite dai sovrani (confortati o no dalla complicità ecclesiastica) le guerre private fra i grandi signori (e mica solo laici), questi sanguinari figli di Marte trasmigrati in Cristo da orgogliosi abusivi, si sfogarono sui sottoposti: vassalli di rango inferiore, contadini “liberi” e servi della gleba. Riferendosi alla Francia, Michelet scrive: “Negli ottanta, cent’anni che dividono questo divieto dalle guerre con gli inglesi (1240-1340), i signori, privati del passatempo abituale, non potendo più incendiare, saccheggiare la terra del vicino, si sfogarono sui loro vassalli. Questa pace fu una guerra per loro. // A leggere dei signori ecclesiastici, dei signori monaci, eccetera [...] vengono i brividi. E’ lo schifoso affresco di un infuriare scatenato, barbaro. I signori monaci si gettarono soprattutto sui conventi femminili. L’austero Rigault, confessore del re santo, arcivescovo di Rouen, conduce di persona un’inchiesta sulla condizione della Normandia. Ogni sera arriva in un monastero. Ovunque, questi monaci vivono la gran vita feudale, armati, ubriachi, duellano, infuriano cacciando per tutti i campi coltivati, stringono a se le religiose in un miscuglio caotico, ovunque le mettono incinte. //Questo, la Chiesa. E allora i signori laici? Come erano dentro quelle tetre torri, guardate con tanto terrore dalla vallata?”
Qui Michelet ci rimanda a due celebri racconti “che sono senza dubbio due storie”, “Barbablù” e “Griselda”. Nonché alla fosca crudeltà del più funesto pedofilo della storia, “Gilles de Retz, predone di bambini”, l’unico ad aver subito un processo, “e quanto tardi, nel XV secolo”. La letteratura è spesso impari alla realtà, l’attenua, quasi l’autore stentasse a credere l’uomo capace di certi orrori. “Anche il Templare del più famoso romanzo di Walter Scott, “Ivanhoe”, “diventa una creatura debole e molto artificiale. L’autore non ha avuto il coraggio di affrontare la schifosa realtà del celibato del Tempio, e di colui che regnava dentro il castello. Vi ammettevano poche donne; erano bocche improduttive.” Il sottinteso si può arguire dal poco detto. A proposito del surrogato delle proibite guerre fra uguali “La strega” rievoca quel clima di bestiale anarchia:
“non più scorribande di guerra sulle terre vicine, ma di caccia, e di caccia all’uomo, voglio dire angherie senza fine, infamie alle famiglie dei servi. Il signore sapeva benissimo che una simile massa d’uomini senza donne non sarebbe rimasta tranquilla se non scatenandola ogni tanto. / L’odiosa idea di un inferno dove Dio impiega qualche anima scellerata, le più colpevoli, per torturare le più innocenti, che lui stesso gli lascia perché si svaghino; questo bel dogma del medioevo si faceva realtà alla lettera. L’uomo sentiva l’assenza di Dio. Ogni razzia provava il regno di Satana, convinceva che bisognava rivolgersi a lui.”
*
Questo progredire del “potere infernale” lungo i secoli non è una rivendicazione ideologica dei settari satanici, è una constatazione dei sapientoni di Santa Romana Chiesa Cattolica. Con la logica eccellente che sorvola, alta e impassibile (per ali, le più smaccate fantasie), le meno dubbie smentite della realtà, quei dottori delle famosissime Scholae osservano interpretano e spiegano i segni di questo strapotere del grande Nemico. Né battono ciglio sul disastro teologico implicito in tanta dottrina: se il sommo Dio è onnipotente, lo strapotere del Diavolo è una sua concessione, licenza, capriccio. Inde, ogni invasamento, ossessione, stregoneria è da riportare a tanta Causa Prima. Se la conseguenza logica non piace, oscillando si cozza con non meno autorevole deduzione: Dio non è onnipotente. E può essere battuto dalle risorse del Signore delle tenebre. Niente da fare: l’obbiezione, ove venisse espressa, portava alla gogna, e anche al rogo (dipendeva dallo status sociale): non aveva difesa l’incauto che proferisse tanta impudenza contro la sapienza ispirata delle Summae e delle cholae. Le concessioni divine a Satana sono un mistero che va rispettato: Dio non è tenuto a svelarcelo. Certo, se Dio è sommo bene, è obbligo pensare che le concessioni siano espressioni della sua bontà: una deduzione che è difficile accettare. Anche per menti “idiote”. Meno difficile fingere, sotto tortura o sua minaccia. Chi praticava col re degli abissi tentava di nascondersi.

Il Malleus, come tutti i libri di quel genere prolifico, fa una strana ammissione: il diavolo sta guadagnando terreno, quindi Dio perde; il genere umano, salvato da Gesù, viene conquistato dal Diavolo. Che, in pieno sole, si fa avanti di leggenda in leggenda. Ne ha fatta di strada dai tempi del Vangelo, quando ben contento si sistemava nei porci, a quelli di Dante: teologo e giurista, Satana discute con i santi aspre cause, e, concludendo un sillogismo vincente, si prende l’anima in questione, ridendo nel trionfo: “Tu non pensavi ch’io loico fossi”

Eh sì, ne ha fatta di strada il grande loico, se può battere in logicalia san Francesco in persona, e papparsi la discussa anima di Guido da Montefeltro (Inferno, xxvii). Va bene che il mite Fraticello non è un’aquila delle Scholae aristotelizzanti, ma è pur sempre un santo. E fa pensare: alla logica qui in causa, ma anche alla mente di Dante, che da quel pozzo profondo e pieno non tira mai fuori niente a caso! Sia come sia. Se non è un divino mysterium magnum è certamente un misero mistero umano. Uno dei tanti. Dei troppi. Che possiamo indugiare ancora qualche minuto a godere nella vivace prosa del Michelet:
“Nel primo Medioevo aspetta ancora l’agonia per arraffare e portarsi via l’anima. Santa Ildegarda (1100 circa) crede ‘che non può entrare nel corpo di un uomo vivo’, altrimenti le membra si spargerebbero; vi entrano solo l’ombra e il vapore del Diavolo”. Quest’ultima parvenza di buon senso si dissolve nel XII secolo. Nel XIII, vediamo un priore che teme follemente d’essere rapito vivo, e allora si fa proteggere giorno e notte da duecento armati. “Ha inizio un’epoca di terrori crescenti, e l’uomo si affida sempre meno alla protezione divina. Il Demonio non è più uno spirito furtivo, ladro notturno che scivola fra le tenebre; è l’avversrio coraggioso, ardita scimmia di Dio, che, nel suo sole, in pieno giorno, gli contraffà la creazione. Chi lo dice? La leggenda? No, i più grandi dottori. Il Diavolo trasfigura ogni essere, dice Alberto Magno. San Tommaso va ancor più lontano. ‘Il Diavolo può imitare ogni mutamento di natura, di germi’. Concessione straordinaria, da una fonte tanto seria, che arriva a costituire un Creatore di fronte al Creatore”.

Deduzione ineccepibile, davanti a cui le sottigliezze distintive del grande magister (il cui pensiero, si ricordi, è ancora oggi, la filosofia ufficiale della Chiesa cattolica): philosophia perennis, la Summa theologiae del Santo tenta perfino di fagocitare alcune filosofie del Novecento. O loro accessibili parcelle! Vedi caso Fenomenologia, questa prolifica allucinazione accademica!) sono ridicola pula in balia d’ogni soffio. E figuriamoci se non dell’ironia sagace del Michelet, che davanti alla distinzione tomistica: “Ma [...] il Diavolo non può nulla per quel che si fa senza germogliare, una metamorfosi d’uomo in bestia, la resurrezione di un morto”, seguita, piccato e felice del gancio:

“Ecco la particina di Dio. Dalla sua, solo il miracolo, il gesto raro e straordinario. Il miracolo quotidiano, invece, la vita, non è più soltanto sua: il Demonio, suo emulo, divide con lui la natura. // L’uomo, che nella sua debole vista non distingue tra natura creata da Dio e natura creata dal Diavolo, si trova il mondo diviso. Un’incertezza tremenda si diffonde su ogni cosa. La natura ha perso la sua innocenza. Quella fonte limpida, il fiore candido, quel piccolo uccello, appartengono a Dio o sono perfide imitazioni, trappole tese all’uomo? Vade retro. Tutto si fa sospetto. La creazione buona, come quella sospetta, si offusca, invasa. L’ombra del Diavolo vela il giorno, si stende su ogni vita. Stando all’apparenza e ai terrori degli uomini, lui non divide il mondo, intero l’ha usurpato.”

Aspetti contraddittori e rivolgimenti drastici nella carriera delle streghe. Soddisfazione per il potere riconosciutogli di operare “miracoli”; per le superbe dame dei castelli inaccessibili che sempre meno raramente venivano ai loro piedi, chiedendogli quell’aiuto che istanze umane e religiose non gli davano più. Gioia di libera vitalità nei sabba notturni, feste della fantasia e del corpo slacciato da remore nevrotizzanti. Anche incesti a gogò, come si scrisse? Non è credibile. Più plausibile, nei contesti specifici, credere all’enfatizzazione calunniosa dei sabba. Almeno nel senso che noi moderni diamo al concetto di incesto. Ma una maggiore libertà di accoppiamenti, senz’altro: c’era una zona di foresta protettiva per questi baccanali, oltre le radure illuminate del rito e delle danze. E’ lecito leggerle, queste periodiche emancipazioni del corpo totale, come lontane anticipazioni di invenzioni novecentesche? Perché no! Non si vedono difficoltà logiche agli accostamenti fra le mediazioni medievali e quelle, non meno mascherate di spiritualità estrosa, della Rivoluzione sessuale, così prodiga di invenzioni e soluzioni. Fino alle meraviglie descritte nelle “Particelle elementari”. E allo sbracamento del genere “Notte prima degli esami”, con quel branco di macchine oscillanti al ritmo dei movimenti delle coppiette di fresca lanugine occupate nella ginnastica satiresca di pacificata licenza.
Certi periodi storici furono più propizi a queste rivolte e rivincite delle prede secolari dei signori: e il periodo della Cattività avignonese, col successivo Grande scisma, fu uno di questi: la chiesa screditata, lo scandalo dei due e tre papi reciprocamente scomunicantisi, l’immane corruzione di preti monaci vescovi e compagnia alta avevano creato le condizioni psicologico-sociali per la grande avventura. Che però si volse a tragedia quando, in tempi e con intensità diverse, la Chiesa si riassettò e la nobiltà ebbe a temere continue rivolte di contadini in varie parti d’Europa. Tornò l’alleanza fra castello e sacri palazzi, tra feudo e dominio papale: bisognava troncare questa diretta minaccia alla loro complice supremazia. E via con i processi e i roghi, le torture e le accuse inventate, le testimonianze false, i testimoni comprati o ricattati e minacciati.
Ecco un altro passo esemplare sulla spietatezza del sadismo fanatico inquadrato nel sistema inquisitoriale dominante soprattutto nella Spagna:

“la Spagna, sotto Isabella la pia (1506), il cardinale Ximenez, si mette a bruciare streghe. Ginevra allora governata dal vescovo (1515) ne bruciò cinquecento in tre mesi. L’imperatore Carlo V, nelle costituzioni tedesche, invano tenta di stabilire che ‘la stregoneria, che arreca danni ai beni e alle persone, è una questione civile, non ecclesiastica’. Invano sopprime la confisca (salvo nel caso di lesa maestà). I piccoli principi-vescovi, per i quali la stregoneria è un ottimo affare di pingue introito, continuano a bruciare furibondi. L’impercettibile vescovado di Bamberga, in un fiato ne brucia seicento, quello di Würzburg novecento. Il procedimento è semplice. Prima di tutto si torturano i testimoni, creandone a carico con il dolore, il terrore. Si estorce all’accusato, a sofferenze, una confessione, e si crede a questa confessione contro l’evidenza dei fatti. Esempio. Una strega confessa di aver sottratto al cimitero il corpo di un bambino morto da poco, per consumarlo nei suoi miscugli magici. Il marito dice: “Andate al cimitero. Il bambino c’è”. Si scava, lo trovano nella bara. Ma il giudice decide, contro i suoi occhi, che è un’apparenza, un miraggio del Diavolo. Al fatto preferisce la confessione della donna. Al rogo.”

E’ la logica di ogni fanatismo: i fatti? “Ma lei crede ancora ai fatti?” – ebbe a dirmi, tempo fa, a un convegno filosofico, un cattedratico di formazione semi-idealistica – Allora risposi, piccato: “Certo: forse che lei non è un fatto? E piuttosto ingordo, visto che ruba il tempo agli altri”. Fatti, evidenze percettive, dimostrazioni logiche, magari matematiche sposate ad esiti sperimentali: niente può scalfire l’ottusa cecità di una passionalità inevoluta o involuta. L’evidenza è roba per digestioni mentali delicate. L’inquisitore Sprenger, l’autore del famigerato Malleus maleficarum è uno degli esempi più eloquenti di questa logica micidiale. Michelet lo presenta nella sua giusta luce d’inferno, iniettando nello schizzo la sua risentita ironia:

“‘Son troppo buono’ dice ‘a dar retta a questa gente. Col diavolo non si discute’. Tutto il popolo è con lui [...] Non appartiene, lui, alla categoria degli scolastici insensibili, uomini di arida astrazione. Ha un cuore. Proprio per questo uccide facilmente. Ha pietà, tanta carità. Ha pietà di questa donna in lacrime, ieri incinta; uno sguardo di strega le ha soffocato il bambino. Pietà del pover’uomo di cui questa ha grandinato il campo. Del marito che, per niente stregone, vede che la moglie è strega, e la trascina, corda al collo, da Sprenger, che la bruci. //Con un crudele, sarebbe possibile salvarsi; ma, niente da fare col buon Sprenger. Troppo umano; si va al rogo senza scampo, a meno d’essere molto abili, straordinariamente svegli.”

Ed ecco un episodio di rara eloquenza a conferma della logica sopra celebrata: un giorno vengono a lamentarsi da Sprenger “tre brave signore di Strasburgo”: si dicono bastonate da mani invisibili, tutte e tre “lo stesso giorno, la stessa ora”. Sospettano e accusano “un uomo di losca figura, che gli deve aver fatto il malocchio”

“Di fronte all’inquisitore quello protesta, giura su tutti i santi che non conosce quelle signore, non le ha mai viste. Il giudice non gli crede. Lacrime, giuramenti, tutto inutile. La gran pietà per le signore lo faceva spietato, e lo offendeva quel negare. Già si alzava. Che venga torturato, avrebbe confessato, come anche i più innocenti. Ma riuscì a parlare. ‘Mi viene in mente che ieri, a quest’ora ho bastonato...’ ‘Chi? non creature battezzate, ma tre gatte, tre furie che mi azzannavano le gambe’ Il giudice, uomo astuto, comprese tutto: il pover’uomo era innocente; le signore, certi giorni, si tramutavano in gatto, e il Maligno godeva a gettarle tra le gambe dei cristiani per perderli, e farli credere stregoni.”
C’è da dubitare che anche oggi, in questi evolutissimi tempi di alta tecnologia elettronica, si trovano persone (fin troppe) disposte a difendere il giudice?
*
L’evoluzione del fenomeno conobbe grandi drammi e storie-romanzo finite anche in film: si pensi alla vicenda di Grandier, di Gauffridi. Una tragica farsa in cui pulsioni puramente uterine di feroce gelosia trasformano rivalità umane troppo umane in vicende diaboliche. Diavoli che si combattono dentro i corpi rivali di due belle creature innamorate dello stesso affascinante monaco disponibile: Louise e Madeleine, due fanciulle intorno a Gauffridi, a bearlo di squisiti piaceri, a perderlo con accuse micidiali. Scontro all’ultimo neurone fra la grintosa, amazzonica, geniale imbrogliona Louise, e la delicata, ingenua, debole Madeleine, poco più che una bambina. La prima capace di soggiogare al suo fascino con la parola calda e passionale una comunità intera, e certe eminenze della fede inquisitoriale; la seconda, fragile, incline a perdersi, incapace di resistere alle insidie dell’ossessa che la vuole morta e torturata.
*
Ma non ci sono state soltanto le spose di Satana nella spassosa tragi-commedia dell’umanità. Alle sempre reiterate affermazioni del corpo appartengono invenzioni tanto incredibili quanto ingegnose. Emanano dai fertili cervelli dei sapientoni e mirano a “guarire” le monachelle dalle loro malinconie agitazioni isterismi. C’entra sempre il Diavolo? Non soltanto. Può essere perfino l’eccesso di amore per Gesù a scatenare nervosismi e parossismi. Nella immobile monotonia (salvo pestilenze e terremoti e carestie) dei conventi, nulla di più facile. Ma ci stanno per niente i dotti confessori e direttori di coscienze per suore e madri superiore? Ed ecco teorie liberatrici, dottrine farmacologiche di sicuro successo. Tra casistica e mistica, si può scialare. La casistica, dilagata nell’epoca della Controriforma, serve specialmente a compiacere peccatori e peccatrici d’alto lignaggio (o a ricattarli), la mistica è buona specialmente per sgavezzare dentro i conventi di suore. L’indottrinamento delle sorelle malate di ennui vuole mediazione garantita: magari e meglio di un uomo-angelo, un prete o monaco addetto al convento che presti “la bella persona” a uno spirito alato, a un angelo docens. La mistica degli illuminati è un caso macroscopico di utile mistificazione. Leggiamo: “Il nulla della persona e la morte della volontà, è il gran principio mistico. Desmarets ce ne mostra chiaramente la vera portata morale. I devoti, dice, immolati in loro e fatti nulla, esistono solo in Dio. ‘D’allora non possono far male’. La parte superiore è tanto divina, che non sa più quel che fa l’altra.” Una noticina impingua il testo, più esplicita e chiaramente pedagogica: “Dottrina molto antica che ricorre spesso nel medioevo. Nel XVII secolo è comune nei conventi francesi e spagnoli, mai più chiara e ingenua come nelle lezioni d’un angelo normanno ad una suora [...]. L’angelo insegna alla monaca soprattutto ‘il disprezzo del corpo e l’indifferenza alla carne’. E introduce a sostegno di tanta evidenza un precedente inattaccabile: “Gesù tanto l’ha disprezzata, che l’ha esposta nuda alla flagellazione, che tutti vedessero”. Cosa può volere di più la monachella ben disposta all’ascolto dell’angelo? Egli prosegue, sviluppa, chiarisce: la liberazione dalla servitù corporale pretende poca cosa, un gesto facile: “l’abbandono dell’anima e della volontà, la sana, docile, tutta passiva obbedienza”. E fiorisce un secondo “esempio” di solare evidenza: “la santa Vergine, che non dubitò di Gabriele, ma obbedì, concepì. Correva rischi? No. Poiché uno spirito non può recare impurità. Anzi purifica”. Nel dramma boccaccesco di Louvriers “questa bella dottrina” fu predicata e praticata da certo David, autorevole e anziano direttore spirituale di conventi, con uno sviluppo teoretico affascinante e applicazioni tanto vaste quanto disinvolte fino al cinismo più bieco. Lo “sviluppo” offre un esempio di sottigliezza e dialettica veramente satanica “far morire il peccato attraverso il peccato, per meglio tornare in innocenza”. Né manca la solita esemplarità soccorrevole: “Così fecero i nostri primi padri”. Variante: “Il corpo non può sporcare l’anima. Bisogna, col peccato che fa umili e guarisce dall’orgoglio, uccidere il peccato”. Il testimone di tanta sapienza operativa è il cappuccino Esprit de Bosroger, debitamente citato dal Michelet. Immaginare le deduzioni pratiche di siffatta teoresi non è difficile: lo spadroneggiare di “direttori” come David e il successore Picart, come il mostruoso Girard e i suoi complici (Sabatier, Grignet...) nei conventi femminili; con diletto delle bendisposte favorite (monache e no), ma anche con strazio delle creature refrattarie e resistenti, come la giovane Madeleine, terrorizzata, plagiata, infine torturata (gli spilloni conficcati in tutto il corpo alla ricerca del “punto insensibile”, marchio di Satana) e infine reclusa in un in pace. Che è uno dei più terrificanti culmini dell’orrore di “ontogenesi” religiosa: la sventurata viene murata dentro un minimo spazio verticale, una fessura per il transito del ruvido cibo e nessun’altra apertura e sfogo per prodotti catabolici.
“Le suore piene di queste dottrine, le praticavano tranquille tra loro, spaventando Madeleine con la loro depravazione”. Tra le mille storie di molteplici abusi su crerature ingenue e di indole sensitiva da parte di religiosi, più o meno autorevoli (e sempre protetti dalle loro compagnie ordini e confraternite) spicca di sulfureo splendore l’affaire Cadière. Plagiata stuprata ingravidata, variamente torturata e mille volte ingannata dal suo confessore Girard, che la “santificava” procurandole stimmate durante i deliqui indotti da intrugli droganti. In queste belle imprese Girard aveva la complicità convinta e gaudente di suore crudeli, docili al comando dei superiori: come le Orsoline, non meno corrotte e depravate dei santi padri al comando. E di figure moralmente devastate, come la Guiol e figlia. Da aggiungere, al cocktail sacro, la protezione della Compagnia al momento del rischio processuale: che fa quadrato attorno a quell’untore della peggiore peste, a difesa del presunto onore e del mondano potere reale della santa Creatura del Loyola. Ad scandalum vitandum, s’intende. E dunque, in fondo, della fede, della serenità dei semplici, della Religione in persona. I caporioni della Compagnia ricattarono e variamente terrorizzarono vescovi onesti, ma deboli, suore pronte alla testimonianza verace, due fratelli e la desolata madre della martire: e altri disposti a difendere la vittima ignara e spingere al processo il mostro Girard. Un incredibile concerto di mosse e contromosse, di azioni, queste sì, veramente diaboliche: sottrazione e distruzione di lettere intercorse fra Girard e la credula fanciulla; dichiarazioni estorte con uso di droghe, ritrattazioni dell’accusata in ripresa di coscienza seppellite sotto ritrattazioni di secondo grado; false testimonianze e prove altrettanto capovolte; mutilazioni di documenti processuali, calunnie spudorate invano contraddette dalla storia personale dell’innocente e dall’evidenza dei fatti: ecco i mezzi adoperati dai mefistofelici gesuiti per salvare il diavolo Girard e affossare l’angelo Cadière.
Nel racconto di Michelet, sempre puntualmente sorretto da prove documentali, ricorrono frasi e parole come le seguenti. La Cadière affidata a un carmelitano onesto, “raccontò vita e dolori, devozioni, visioni. Nemmeno la notte la fermò. [...] Ricominciò il giorno dopo [...] a parlare estasiata di Dio, dei misteri più alti. Il carmelitano era stupefatto, si chiedeva se il diavolo poteva lodare così bene Dio[...]La sua innocenza era evidente. Appariva una brava ragazza, obbediente, dolce come un agnello, festosa come un cucciolo [...] Sabatier, vegliardo sanguigno, collerico, andò dritto al vescovado.” A ricattare il vescovo onesto. “Lo mise spalle al muro, gli fece capire che un processo contro i gesuiti, per lui, voleva dire perdere per sempre, sarebbe rimasto vescovo di Tolone in eterno, mai lo avrebbero fatto arcivescovo. Ben di più, con la libertà di un apostolo forte a Versailles, gli disse che se questa faccenda avesse gettato in piazza la condotta di un gesuita, non avrebbe mancato di mettere a giorno quella di un vescovo. Una lettera, chiaramente combinata da Girard, farebbe credere che i gesuiti erano pronti in segreto a rivoltarsi contro il prelato con accuse terribili, dichiarando la sua vita ‘non solo indegna dell’episcopato, ma abominevole. Il perfido e subdolo Girard, Sabatier apoplettico, gonfio di bile e veleno, avrebbero spinto a fondo la calunnia; pronti a dire che era tutto per una ragazza, e se Girard l’aveva curata malata, il vescovo l’aveva avuta in buona salute”.

Nessun commento: