lunedì 11 maggio 2009

Susanna, frammento 28


19 aprile

Viaggio e visita del presidente Saragat nella Regione “sudica”. Scende dal treno speciale alla stazione di Zefiria, percorre un tratto di strada in macchina stando in piedi. Va a San Luca, paese natale di Corrado Alvaro: omaggio allo scrittore, visita della casa paterna e visione delle testimonianze esposte (libri stampati, manoscritti, lettere…), discorsini di circostanza, codazzo di autorità e parenti ancora in vita (tra cui, il fratello prete). Lo rivediamo a Bianco. Mia moglie eccitata e contenta: l’eccezionalità dell’evento, l’importanza del personaggio l’hanno conquistata (come tutte le donne della zona). Un giorno di festa. Lei ha sfoggiato l’abito più bello del non ricco corredo.
E’ scattata, insomma, la naturale propensione idolatrica di homo colens. La cui seconda metà del cielo è, globalmente, più ricettiva alla suggestione dell’eroe: grande attore, divo della canzone o eminente politico che sia. La folla era, ovviamente, ambisesso, ma con la rappresentanza femminile copiosamente prevalente. A me s’è acceso un ricordo vecchio di ventott’anni: guardando il Presidente ritto in piedi sulla macchina-ferculo ho rivisto in un lampo ancora nitido la figura del Duce ritto in piedi, anche lui, nella sua macchina scoperta, lenta lungo la via provinciale del mio paesello sicanico. Lo vedevo dal balcone dei nonni materni, era il 1938, Lui vestiva di bianco, e salutava, voltandosi a destra e a manca, la gente sui balconi e una minoranza sugli ingressi delle case terrane. Ingressi poveri di case povere o modeste (tutte con un più o meno esteso cortile sul retro, aperto su stradine rurali a fondo naturale) su un lato della strada senza marciapiede (appena riasfaltata per quella grande occasione); e quelle sull’opposto lato, anch’esse fornite di cortili più o meno estesi, e orti fioriti, tutte confinanti, queste, con un esteso agrumeto o con piccoli poderi di composita e suggestiva macchia mediterranea. Grande impressione, anche allora, sulla ben disposta popolazione debitamente “fascistizzata” dal martellamento propagandistico. Andavo sui sei anni, e Rina non era nata, e mon frère respirava da un mese soltanto la sua razione di aria ancora per nulla inquinata. Allora non sapevo che quello era, non solo l’anno del “Trattato di Monaco” e dell’incluso inganno del Duce salva-pace, ma anche il torbido anno delle famigerate leggi razziali: cioè della seconda grande vergogna del regime, e della svolta micidiale nell’allineamento sempre più stretto al funesto “Alleato” teutonico a croce uncinata.
*
Ma torniamo al presente, alla sua piccola prosa paciosa e all’inquieta poesia che la rompe qua e là. La sera, ospiti in casa di Susy. Lei s’è arrostita al sole sulla terrazza di un’amica per guardare la folla in attesa del Presidente, aspettandolo a sua volta, non meno eccitata delle movimentate compaesane. Mi chiedi, quaderno impiccione, se anch’io ero eccitato? E come no! Ma anche un poco infastidito. Non per ragioni politiche: la folla mi attira e mi impaurisce, anche quando osanna un presidente democratico. Io, poi, nel mio prospero bagaglio genetico, godo la capovolta grazia di una certa inclinazione alla claustrofobia: che cosa può “rinchiudere” meglio di una folla eccitata?
Una specie di “En attendant Godot”, l’evento; con la differenza che questo piccolo dio di corpulenta carne e àlacre mente assistita dal barolo, al contrario di quello beckettiano, arriva. E marcia, trascina, fra clamori di piccoli trionfi e ambizioni crescenti. Librato fra prudenza e coerenza.

In casa di Susanna, rituali dolcetti per Giampiero e gli altri minori di anni 12. E anche per chi, degli adulti, ne fosse ghiotto. E bevande: dal tè al limone, alla limonata frizzante. Più qualche giro di slow, tanto per movimentarsi un poco, rientrando nella quotidianità appannata dal trascorso fulgore. Dei maschi di casa, c’era solo il piccolo undicenne: il solito vortice trascinatore, buono anche per trascinare Giampiero.

20 aprile

A scuola, stamane, tutte impreparate le signorine. E presidenzialmente giustificate. In seconda, offro chiarimenti e integrazioni sulla lezione precedente: e cioè sull’Africano superloquens, Agostino di Ippona, pilastro magno delle logorree cattoliche, dette pomposamente filosofia cristiana. O, più modestamente, philosophia perennis, sezione patristica. Noli foras ire. Rede in te ipsum, in interiore homo habitat veritas. Et si mutabilem inveneris, trascende et te ipsum et illuc tende unde ipsum lumen veritatis accenditur. Ho chiesto a Paola Cilurzo di tradurre questo facile latino, e l’ha fatto senza grandi difficoltà. Quasi testuale, parentesi e... maiuscole comprese: “Non andare fuori (di te). Ritorna in te stesso, nell’uomo interiore (o, meglio: nell’intimo, o interiorità, dell’uomo) abita la verità (anzi, Verità). E se ti scopri mutevole, trascendi (supera, vai oltre) anche te stesso e tendi là donde (dove) s’accende lo stesso lume (la stessa luce) della Verità”. “Brava Paolina. Ma dimmi: c’era un’ombra di presa per i..., voglio dire, un po’di sorridente ironia nello scimmiottare il tuo prof. con quegli ‘anzi’ e le annunciate maiuscole?” “ No. Anzi, sì, ma solo un po’ e con...” “Affetto, lo credo. Accettato. Ora mi sapresti spiegare perché sant’Agostino, che si dà l’aria di essere il Logos in persona, prende lucciole per lanterne?” No, non lo sa spiegare. Anzi, sembra propensa a dargli corda. E mi costringe a ripetere la santa mia requisitoria contro l’inganno-imbroglio della teoresi del Santo logorroico (e, anche, ahinoi, tanto suggestivo!). Il tutto, condotto con tatto e rispetto (quante “t”!), si capisce. E nell’esplicito intento di allenare la gentile platea al rigore logico (che non deborda per facili eccessi da quelle gentili meningi, naturaliter vocate ad altri rigori. E ardori).
In terza si legge il Discorso sul metodo. Altre furberie logicissime, altri valorosi abbagli di felice carriera. Faccio leggere Gaetana Bumbaca, Carla Speziale, Margherita Strangio. Spiego e faccio spiegare, e riassumere. Carla aveva studiato Cartesio, ma, per solidarietà di gruppo, aveva taciuto. Così, all’impatto col testo, ha gioco facile nel ripetere e sviluppare le quattro regole del metodo: evidenza, analisi, sintesi, controllo. Prima regola: “Non accettare mai per vero ciò che non mi appare tale chiaramente e distintamente”. Dunque, l’evidenza cartesiana equivale al binomio chiarezza e distinzione? Certo. E cos’è, o cosa si può definire, chiaro? Tutto, e soltanto, ciò che è manifesto alla mente. Non ci trovi una sorta di imbroglio, di possibile auto-inganno, di equivoco? Perché? Cerca di risvegliare la mia presentazione: perché una cosa può essere manifesta, cioè evidente, per Tizio e oscura o nebulosa per Caio. Per esempio, a un credente stagionato nella sua fede, l’esistenza di Dio appare più che manifesta. A voi no? A me no. Come dovreste sapere tutte, ormai. Continuiamo. E magari la divinità del Cristo, può brillare di luminosa chiarezza alla mente del solito, e solido, credente. Come al tuo sguardo interno, o no? Be’, non mi spingo fino a questo punto: io, prof, so che lì è questione di fede. Bella risposta, brava. Continuo. Infatti, per un loico impenitente, non c’è idea più fragile, contraddittoria, infantilmente antropomorfica di quella. Dico, del Dio persona, proprio delle “grandi religioni monoteistiche” (il “grandi”, come sai, è d’obbligo). Che vuol dire “loico”? Vuol dire che rispetta la logica. Nel caso, quella legata all’esperienza sensibile e biologica: un cadavere non ritorna in vita. Indi, questione di fede: dura e stretta. E perciò, astratta. Nubivaga.
Gaetana chiede l’etimologia di “manifesto”. E’ un po’ come dire nudo, denudato, svestito, esposto sgusciando da un nascondiglio. Perché ridi, Adelaide? E tu, Giovanna? No niente, professore. Ci scusi. Non vi distraete, signorine. Intendevo dire, è la vecchia “aletheia” greca, che si intravede nell’aggettivo “manifesta” (non potevo usare altri vocaboli? Se l’ho fatto apposta? No. Ma l’inconscio mi ha preso la lingua. Mi pare evidente). Aletheia: la stessa che Heidegger vanta come il più grande titolo di gloria personale. E chi è Heidegger? Lascia perdere, ne riparleremo l’anno prossimo. A dio piacendo. A Dio...:perché lo nomina, se non crede? Ma è solo un topos, un luogo comune, un modo di dire che ti viene alle labbra da sé. E infatti io l’ho pronunciato con ...iniziale minuscola. E scusate la battutaccia. Sù, andiamo avanti: altre domande? Nessuna, per ora? Continuo, allora. Piuttosto, che cos’è la “distinzione”? Un’idea – chiarisce Giovanna – per Cartesio, si dice “distinta” quando non può essere confusa con nessun’altra. Brava. Anche qui, a voler essere pignoli, qualche complicazione potrebbe sorgere. Mica le idee sono rigidi monoblocchi. Ma non è il caso di sottilizzare. Per ora.
Tornando in seconda, spiego un capitolo di Psicologia, seguendo il testo in adozione, di Romolo Appicciafuoco. Nientemeno che “sensazione e intelligenza”. implicazione e distinzione. E altro contenzioso impaniato nel sezionare sbrigativo.
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Santa Adalgisa, oggi. Dodici anni fa avevo il pensiero di fare il regalino e i rituali auguri alla “mia” Adalgisa, piccola e brunetta, di forme polputelle, molto truccata (che rosso carico, sulle labbra!) e non sempre gradevolmente profumata: quegli strani profumi, forse alla moda, ma ostici al mio olfatto. Comoda, per le mie esigenze non abissali, ma col difettaccio di voler fare sul serio. Poi l’ha capita. Ruhit hora.


21 aprile

L’ottimismo pacchiano di certa stampa e telegiornali, ostinati a rimuovere con ottusa nonchalance lo sconfinato contrappunto di violenza-sofferenza-egoismo distribuito imparzialmente nelle varie porzioni e situazioni geo-politiche del pianeta, mi riaccende, di quando in quando, la sete di verità che meglio canta nei versi ironici dell’implacabile Nano di Recanati. E perciò mi trascrivo qui, sotto quella data “fatidica”, alcuni fendenti della Palinodia al Marchese Gino Capponi:
“Errai, candido Gino; assai gran tempo, / e di gran lunga errai. Misera e vana / stimai la vita, e sovra l’altre insulsa / la stagion ch’or si volge. Intolleranda / parve, e fu, la mia lingua alla beata / prole mortal, se dir si dee mortale / l’uomo, o si può. Fra maraviglia e sdegno, / dall’Eden odorato in cui soggiorna, / rise l’alta progenie, e me negletto / disse, o mal venturoso, e di piaceri / o incapace o inesperto, il proprio fato / creder comune, e del mio mal consorte / l’umana specie. Alfin per entro il fumo / de’ sigari onorato, al romorio / de’ crepitanti pasticcinil al grido / militar, di gelati e di bevande / ordinator, fra le percosse tazze / e i branditi cucchiai, vive rifulse / agli occhi miei la giornaliera luce / delle gazzette. Riconobi e vidi / la pubblica letizia, e le dolcezze / del destino mortal. Vidi l’eccelso / stato e il valor delle terrene cose, / e tutto fiori il corso umano, e vidi / come nulla quaggiù dispiace e dura [...]
Per oggi basta. La nota n.9 dell’edizione Mursia chiarisce che l’ultimo verso è parodia del Petrarca, R.V.F., CCCXI, 14: “Come nulla qua giù diletta e dura”. Spizzichi di “pessimismo”, cioè di lucidità, anche nel Poeta di Laura. Ma per volgersi, infine, ad maiorem gloriam Dei. Altre notizie: la poesia di Leopardi, “composta a Napoli, probabilmente nel 1835. Stampata per la prima volta nell’edizione Starita dei Canti, Napoli, 1835. Il marchese Gino Capponi nacque a Firenze nel 1792 e morì nel 1876”. All’anima dell’egalitarismo metafisico! 84 anni! Contro i 39 del povero Leopardi supertribolato. I 37 del “povre Eluan”, Arthur Rimbaud. Dove si mostra, in contesto, come l’ottimismo, corollario di ogni robusto egocentrismo, aiuta la longevità. Si capisce, Dna permettendo. Altre notizie le leggerò quando dovrò spiegare a Susanna le poesie di Leopardi messe in programma per l’esame di maturità
*
Si festeggiava il Natale di Roma, ai bei tempi della retorica imperiale, in questi 21 aprile; oggi, più modestamente, festeggiamo i compleanni di famiglia: il ventiquattresimo del cognato, il trentaduesimo del cugino più “anziano”. Auguri. Da qualche tempo mi fruga il cervello inferiore la mezza idea di “combinare” tra quest’ultimo, cugino carnale di Rina, e Susanna, che ne compirà venti a settembre. Troppa differenza d’età? Lei dice che no, non è troppa.
“Sole che sorgi, libero e giocondo...”
Il progetto in cantiere (o più esattamente “in mente dei”) mira a non perdere di vista la buona amica, a portarla, addirittura, in famiglia per non smarrirla. Nel contempo, sarebbe una dignitosa sistemazione per lei e lui avrebbe la gloria di portare in paese una gran bella donna. E’ ingegnere, il cugino, ma la sua attività prevalente è l’insegnamento: topografia in un istituto per geometri della capitale. Dovrebbe venire a trovarci, prossimamente, forse in estate: farò le presentazioni. A lei ho detto che è un bel giovane, più alto di me e di lineamenti più regolari dei miei (non ci vuole molto!). Ma è anche più lento di riflessi. Più posapiano. Più prosaico e molto attento ai beni materiali. Vedremo.
E niente postille, quaderno rompiscatole.

22 aprile

Scivolo lungo la china dei giorni, snocciolo la giornata in sequenze fisse: mattina a scuola, fino all’una circa; pomeriggio, in casa, lezioni di matematica e fisica alla neo-cognatina in progress; infine, lezioni a Susy: italiano, filosofia, eccetera.
Negli intervalli si formano pensieri scivolosi lungo la china di Iside. Alludo al terminale (the end of the lesson). Quando non se ne ha più una maiuscola, quale meraviglia se ci contentiamo di surrogarlo con divinità minuscole e tangibili? La mia lingua può recitare più congrue preghiere in catacombe di proteine trasudanti (di onticità appagata). Amen. Ma lungi da me l’idea di assimilarmi a Osiride fatto a pezzi. Quattordici, rimessi insieme e incollati (dalla sorella amante sposa Iside) per ripetere ad infinitum l’arcaico tema del dio-dema che viene ucciso e poi risorge: per il bene del popolo! Bene fagico, in primis. Con varianti più o meno ambientalizzate.
Fugit irreparabile tempus? E lasciamolo fuggire. Carpe diem. Anzi, horam.

23 aprile

Susanna ha preso tre compresse di Bellargil, e si è mezzo addormentata. Ho dovuto accompagnarla a casa, dalla scuola, quasi. Sono andato ad incontrarla, con la macchina del cognato, insieme a mia moglie, che ho scomodato apposta, ad evitare ciarle di paese.
Mi ha chiesto cosa succede se una ne prende un intero tubetto. Ho detto che si va all’altro mondo. Dice che ne prenderà un tubetto. Dico “non dire sciocchezze” Aggiunge “vedrete”. Ribatto: “preferisco non vedere”.
Paura degli esami?
Forse. Ma di quali?
Lo farà? Non giurerei che no. E’ troppo estrosa per poterne escludere colpi di testa. Non fossero che dimostrativi. Di che cosa? Della sua volontà, del suo carattere, della sua capacità di non parlare invano. Di non minacciare a vuoto. Dimostrativi e “tentativi”: il gioco dell’azzardo potrebbe tentarla. Potrebbe almanaccare, dentro quella testolina febbrile: ci provo, se interverranno in tempo, bene; se no, al diavolo: mi sarò liberata. E non è il caso di sparare domande inutili, quaderno: sappiamo bene di quali malanni e affanni verrebbe liberata. La situazione è fin troppo stressante, per una sensibilità scarsa di cinismo gaudente e di ottusa nonchalance. Quante volte mi strazia il sonno e scompiglia i sogni in tetri incubi. La situazione, dico.

24 aprile

A letto con la febbre. 20 grammi di sale inglese e otto compresse di Akranil dentro lo stomaco vuoto (digiuno assoluto, pena fallimento dello sgombero). Non reggo la penna. Mi venisse un collasso!
Andiamo, non è vero: non lo desidero sul serio. Non del tutto, almeno. E’ più urgente scacciare l’ospite indesiderato. Che contribuisce, la sua parte, a guastare l’umore. Ah, l’umore! L’umore ballerino, che salta da un livello all’altro, a sua smaccata discrezione incontrollabile (dal supposto egemone endocranico, altrimenti detto neocorteccia ). Quanta retorica sul libero arbitrio, la volontà, la ragione capace di governare l’intrico biochimico delle emozioni. L’egemone stoico ne è un insigne campione: il presunto principio razionale dominante, una specie di principe nel castello che “giudica e manda” secondo che accenni.
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Che domenica scatocratica: fiacco da svenire, con un tremito che mi ronza nelle orecchie e mi fruga il corpo intero, dal cerebro ai talloni. Chiuso in casa, prigionia forzata, incapace di reggere perfino letture leggere. Unico conforto, il piccolo. Che però agita i suoi diritti oltre la misura compatibile con lo stato fisico attuale del padre, già di suo naturale poco gagliardo. Tento di farlo giocare da solo, di dirottarlo verso la madre; ma lui ritorna presto alla carica. Con le sue domande, i suoi terribili perché, la sua richiesta di attenzione totale.
Rina fa del suo meglio per distrarlo, garantirmi solitudine e relax. Lo porta anche fuori casa, o dai vicini neo-parenti, o dallo zio, suo fratello. Che, per la verità, gli dedica la sua non avara parte di tempo: lo porta in giro, ci gioca, gli compra giocattoli. E lui, la piccola volpe, sta volentieri con tanto zio.
Ma com’è carogna la vita, nel suo beffardo ludismo inquinatorio: i vermi in corpo! Si poteva escogitare nulla di più derisorio? Né soltanto come ospiti abusivi da cacciare: c’è pure la flora batterica ospite fissa e necessaria al buon esito della digestione. Non sono vermi, ma sempre particole di vita intrusiva. Sorvoliamo sulla pletora batterio-virale, responsabile di mille prepotenze, spesso mortali o senza scampo invalidanti.
Pensieri oziosi di un indebolito. Akranil soluzione drastica e lubrica.


Lunedì, 25 aprile, mattina.

Metto tra parentesi la Festa della Liberazione o della Repubblica, alla quale sono sfuggito, quest’anno in forza di quanto segue sotto. Quanta retorica mi sono risparmiato? Quanta ipocrisia in certi celebranti! A vedere certe facce sul palco dei discorsi non si può evitare la nausea per le grandi menzogne e il malaffare corrente nella politica di ogni livello: comunale, provinciale, regionale, nazionale. Con la benedizione, spesso, delle compunte gerarchie vaticane.
*
Ancora a letto, infermo. La dose di Akranil mi pare non sia stata sufficiente: non ho visto niente nel vaso. Tutto inutile, dunque? A meno che non abbia guardato male, in quella confusione. Akranil: altro genere di liberatore. Più modesto, più sincero, più efficace.
Visita di Susy, tarda mattina. Elegantissima. “Non vi vergognate?” – dice – “Io ho la febbre, eppure sono qua; voi invece! Mi pare che vi piace troppo il letto dei pigri”. “Certo, fa un po’ schifo questo tuo professore imbranato” – dico. “Andiamo, alzatevi. Quant’è questa febbre?” “Non è solo questione di febbre. Che, comunque, basterebbe da sola a farmi stare a letto.”
Forse Rina le ha spiegato il “non solo…”. Rimane a lungo con noi. Gioca con Giampiero, se lo porta fuori e gli compra un lecca-lecca, lo riporta, chiacchiera con Rina: di scuola, di compagne di classe, di sorelle con cui s’azzuffa spesso (ma senza acrimonia, né conseguenze di musi lunghi oltre lo scontro).
In sussurri, colmando la casuale, e di breve durata, distanza spaziale fra Susy e Rina, l’allieva mi informa: ha comprato le compresse di Bellargil.
Le ho detto, chiesto e ripetuto di non fare sciocchezze. Ha risposto che “ormai è deciso”. Con quest’altro Akranil in corpo, le budella sono tutte un sabba e l’egemone è solo uno spettatore legato. Che altro caso mi toccherà affrontare nel futuro prossimo?

Pomeriggio. Nuova visita di Susanna. Insiste nella sua “idea”. Negli intervalli di solitudine, riprendo a tentare di dissuaderla: non vuole sentire ragioni. E’ deciso, ripete con frustrante monodia, frantumata da postille divagatorie di ambientale contingenza. “E’ deciso”. Faccio intervenire mia moglie: inutile. Almeno, così si presenta la situazione. Anche a Rina, in mia presenza, dice che non ne può più: la scuola, le incomprensioni della famiglia (quali?), lo studio che non rende: insomma, tutti i capitoli del suo “contenzioso” (noi, quaderno, aggiungiamo, in sottinteso, quello che resta obliterato) cospirano contro la sua resistenza, spingono verso la soluzione drastica.
Quando ci lascia, dice a Rina che ha scherzato. Lei le crede. Io so che non scherza più (se mai lo ha fatto). Quanto meno, vuole sfidare il destino. Sono inquieto. A conforto, la folta presenza della popolosa famiglia Castrati: se Susy tarda a levarsi, qualcuno dovrà bene accorgersene

26 aprile

Susanna ha preso il Bellargil. Non è andata a scuola (ovviamente). Mia moglie ha telefonato a casa sua, e la madre di Susy ha risposto che la figlia sta a letto, incapace di alzarsi. Non è … morta, comunque.
Ha sbagliato dose? O ha voluto “sbagliare”?
Richiamo profano: la mia dose di Akranil, invece, è stata giusta: lo sgombero c’è stato. Accostamento offensivo? ma no, visto che il peggio è stato evitato dalla dose di Susy, ci concediamo al piacere di avere sfrattato l’ospite ingrato.

27 aprile

Sì, ha ingoiato l’intero tubetto (almeno, così dice lei). Le abbiamo (io, Rina e il piccolo) fatto visita. Con tante presenze, non ho potuto proporre l’argomento. S’è parlato di stress, tossicosi, vertigini. Soltanto rapidissimi lampi di sguardi velati e sorrisi sottintesi hanno potuto sfiorare il busillus. In via, peraltro, di sia pur lento smaltimento idrico: consiglio di medico e sete indotta dal tossico lavorano al disinquinamento graduale. Ne avrà per qualche giorno. La sapienza ippocratica, comunque, ha ordinato anche vitamine e altra chimica. Senza avere diagnosticato la “spirituale” eziologia del malanno. O meglio: avendola riassunta nel binomio-passepartout: esaurimento nervoso.

C’era la sorella Rosina, luccicante di contentezza: ha il marito in casa, reduce dalla crociera di lavoro. In casa per quindici giorni. La presenza dello sposo si leggeva nelle occhiaie nere di Rosa la sposa. Dopo tanto digiuno forzato, una bella scorpacciata non può far male alla salute. Era una pianta irrorata a premio di lunga sete: fresca, turgidetta, stillante sapidi umori. La quaestio sororis non riusciva a bucare quella corazza. Andiamo, un piccolo malessere, cosa vogliamo che sia? Le passerà presto. Garantito. Mille miglia da ogni sospetto.
Immagino le allusioni di Susy, sempre pronta a cogliere simili parole del corpo. Giampiero, invece, non … s’accorge di nulla: gioca con Giacomino e mangia i dolci in dono. Rina deve avere registrato il messaggio, anche lei. Ma captare e registrare non significa ammettere. Nel viaggio breve del ritorno a casa, pretende di non essersi accorta di questi cromatismi, ai quali, forse, solo la mia malizia di maschio eccitabile attribuisce significati esuberanti. Lo ha detto, si capisce, con parole meno litterate e più dirette. Ma si avvertiva che era poco convinta. Ovviamente, non poteva negare l’evidenza sull’indotto del ritorno dietro tanta assenza. Affari loro, tagliò corto, non certo compiaciuta di queste escursioni immaginative del marito, così (poco filosoficamente) attento a ogni accadimento dell’universo femminile appena appetitlich.
Il quale, chissà perché, si sentiva recitare dentro da una sorta di alter ego virtuale quei versi di Dante dell’Inferno, canto III: Quali fioretti dal notturno gelo / chinati e chiusi, quando il sol l’imbianca / si drizzan tutti aperti in loro stelo, /così feci io di mia virtute stanca / e tanto buon ardir al cor mi corse […]
Al cor: aggiungi due letterine, e in corpo avrai una maggiore aderenza. Lontanissima da ogni velleità di viaggi ad inferos.


28 aprile

Giornata piena, serata riposante: al cinema, a vedere La meravigliosa Angelica. Filmetto poco meraviglioso, ma distraente e rilassante.
Susanna è ancora a letto, tra vertigini e astenia. Rina ha telefonato a casa sua. Comincia a mangiare, anche se ancora ingoia poco. Pensiero (im)pertinente: le si calmano, così, i bollenti spiriti. Legge, dice, ma non roba di scuola. Ci mancherebbe. Magari legge Diabolik.

Cronaca pubblica. Ieri, nel folto degli scontri attizzati dai fascisti di Delle Chiaie davanti alla facoltà di lettere dell’università romana, lo studente di architettura Paolo Rossi, 19 anni, è stato scaraventato dalle scale. Incidente, sentenzia la polizia, vocativamente ligia all’ispirazione dei potenti. Omicidio premeditato, dicono testimoni oculari inconfutabili. La lotta politica fra studenti di opposte ideologie si scalda nel sangue degli innocenti. Ne avremo notizie sempre più drammatiche. Le foto scattate da vari operatori occasionali mostrano il ghigno beffardo di alcuni facinorosi fascisti della categoria picchiatori: tra essi, i meno ignoti Mario Merlino e Loris Facchinetti. Lo choc di questo omicidio prepara certo una risposta dei ragazzi della variegata sinistra, pronti a fare blocco antifascista contro le provocazioni crescenti e ormai interpretabili come effusioni rumorose e testificanti di più pelose strategie occulte di ampio orizzonte. Troppi signori e monsignori non riescono ad amare il pur annacquato centro-sinistra di stenta vita. Taluno ricorda il “tintinnio di sciabole” segnalato da Nenni un paio d’anni fa: quella minaccia di golpe è stata un messaggio fin troppo ricevuto: non superare certa soglia di moderazione posta più vicina alla congerie ibrida del centro che all’altra, della sinistra divisa.

29 aprile. Sera tarda

Susanna si è alzata, fa qualche passo, ma barcolla e le si piegano ancora le deboli gambe. E’ ridotta maluccio, insomma.
Siamo andati a farle visita. Era sola in casa: visita tanto più gradita. Giampiero è rimasto con gli amici dirimpettai, nonché nuovi parenti in fieri. Siamo stati prodighi di consigli e incoraggiamenti. Rina, soprattutto. Che la smetta, Susy, di piangersi addosso e di creare le condizioni per farlo. Mangi di più, si muova quanto può. E si rimetta a studiare. Sa bene che ha la mia protezione: si sforzi di favorirla, di evitare comportamenti negativi, atteggiamenti che comportino difficoltà supplementari alla mia “azione interna”: preside e colleghi non brillano per comprensione nei suoi riguardi. A che scopo aggravare la situazione? Studi, sia più flessibile, meno spinosa, si faccia interrogare. Soprattutto, insiste Rina, “non dare l’impressione che approfitti della sua protezione”.
Come, invece, ha fatto finora, sollevando polveroni di chiacchiere pettegolezzi insinuazioni e maldicenze varie (speriamo ferme, almeno, alla “soglia del tempio”).
Domani viaggio per la Sicania.


30 aprile

Santa Caterina da Siena.
La santa sadomaso: misticismo erotofagico, delirio del sangue. Il Cristo come coagulo virtuale della tempesta sensuale nel corpo della “pazza di Dio”. “Virtuale”, nella corporalità assente, ma realissimo dentro quei neuroni sovreccitati. Il marmo del Bernini descrive un orgasmo reale, la beatitudine del corpo sciolto nell’estasi chimica. No, non è il momento di ricordarsi della competente letteratura. Ma del Malaparte che la cita in Maledetti toscani, almeno quello, sì. L’accosta, chissà perché, a Kafka. Vorrei scrivere un articolo su Malaparte, recensendone il Diario di uno straniero a Parigi, testé pubblicato da Vallecchi.

“Chissà perché” l’accosta a Kafka? Ma per il comune sentire sadomaso, suppongo. O, se si preferisce un linguaggio più letterario, per “el sentimiento trágico de la vida”. Penso al Kafka della Colonia penale, al Kafka dei Diari, alle sue ricorrenti immagini del coltello che gli fruga dentro, della lama da salumiere che lo taglia a fettine, alla esecuzione di Joseph K. nel finale del Processo. Lame, ferite, sangue sono elementi essenziali nella visione tragica del grande infelice. Perfino la passione letteraria odora di sadismo e masochismo: la letteratura come divinità esigente, cui si sacrifica. Ogni grande dipendenza diventa cosa teologica: rinnova l’archetipo del dio sanguinario che ordina ai pasti vittime cruente. Ma è un tema da esplorare con pazienza. Con tutto il rispetto per il credente medio. Rispetto che per me è un’erta irta di spigoli quando il credente è un dotto. Non motteggiare, quaderno, su quello stridore: è voluto, in omaggio al grande Idolo antropofago, ingozzato e mai sazio di tenere carni bianche.
Non siamo andati al paese: il fratello di Rina non era disponibile al rientro. Avrà qualche affaruccio galante da curare in sede. E s’è fidanzato “in casa”! Ci prepara una brutta figura. Lo sento: prima o poi, la sua intemperanza narcisistica provocherà il guaio. E pazienza. Rina gli ha rinfacciato il suo eterno egocentrismo. Lo screzio è rientrato a fatica. Io mi sono tenuto un po’defilato, ma non potevo negare solidarietà alla sorella di mio cognato: evidenza rima con decenza. Né qualche malumore in famiglia s’è potuto evitare.
Oggi, niente contatti con Susy: né visivi né telefonici. Ubi maiora premunt…

La notte tra il 28 e il 29 aprile nuova aggressione dei fascistelli brutali del Delle Chiaie. Prima se la prendono con degli studenti isolati, poi bloccano la macchina che portava la figlia di Pietro Ingrao e due assistenti universitari suoi amici. A uno dei due è stata tranciata la prima falange di un dito.

Domenica, 1. Maggio

Festa del lavoro, festa dei lavoratori. ma qui non siamo nella capitale, né in altra degna metropoli: le manifestazioni si risolvono in comizi di circostanza. E piccole sfilate con bandiere rosse.

Bagno rituale in casa al mattino, giornata tran tran nel mezzo, gita in macchina nel tardo pomeriggio. Piccola delizia sensuale di un buon bagno caldo. Specie se col pimento di modeste fantasticherie impossibili: pensarsi nel carezzevole fluido insieme a …
Per la scarrozzata in macchina, propongo Susy come complemento: ma Rina nicchia. Eppure l’avevo preparata con un bramoso incontro coniugale, dopo quindici giorni di distanza asciutta. Allora, diplomazia: bisogna evitare ingiusti sospetti. Mi mostro indifferente alla virtuale presenza di Susy. A un certo punto è lei a proporla, ma io rifiuto. Perché guastare una buona amicizia? Meglio bloccare in tempo, finché si può, la facile gelosia. Vero, quaderno?
Siamo andati con i signori Anelli, marito e moglie. Ma solo dopo aver sorbito un pomposo comizio di don Nicola Misasi, sottosegretario democristiano e uomo di peso in vario senso. Onorava la bella cittadina di Siderato: della sua corpulenta presenza e della sua gonfia eloquenza. Ma Siderato non è feudo democristiano: fin dal primo dopoguerra, vi regna una coalizione di sinistra, comunisti e socialisti governano il paese ininterrottamente dal ’48. Anche se la Dc è riuscita a esprimere un senatore proprio a Siderato: l’anziano medico Maràuti. Forse hanno votato la brava persona, il mite benefattore della povera gente, il signore che non usa superbia verso i gradini bassi della scala sociale. Anni fa ho avuto come alunno il figlio Daniele, ottimo ragazzo, come il padre (nell’ovvio ordine del relativo umano). Forse il Misasi tenta di fare breccia sulla roccaforte a falce e martello, ma non credo che aumenterà di un solo voto il bottino del biancofiore. Oppure onora i voti Dc e rispetta il gioco delle parti. Né (cambiando ottica) c’è da farsi illusione sui rapporti politica-malavita nel passaggio dal bianco al rosso. Certe situazioni locali segnano oltre e meglio dei colori politici e religiosi. E pure alla Curia zefirese sta bene quel “gioco”(e giogo).
Siamo saliti fino alle “falde” del castello di Roccabella. Il castello, quel che ne rimane, domina, in cima a una spolpata collina, la vallata sottostante, con effetti paesaggistici discretamente suggestivi. Dopo, ho portato la comitiva all’albergo “Stella marina” ed ho offerto l’aperitivo agli adulti; al piccolo, una pasta alla mandorla. Ma ha voluto assaggiare anche la nostra bevanda. Quindi, abbiamo riportato i signori Anelli a casa loro. Vi siamo rimasti pochi minuti. E, al solito, il brigadiere ha dolcificato la visita di Giampiero con ghiottonerie (stavolta, fatte in casa).
Dopo cena, mia moglie ha insistito per far visita a Susanna. Le donne! Susy lietissima di vederci. Sta meglio, si riprende, le fantasie lugubri sembrano superate (ma con lei c’è poco da stare tranquilli). Dice che ha ricominciato a mangiare normale. E che ha perfino ripreso in mano i libri di scuola. Eureka. Ma io tremo pensando ai prossimi, ormai non lontanissimi, esami.
Siamo rimasti a lungo. La sorella e il fratellino minori alle prese con Giampiero, i “grandi” a chiacchierare, sorseggiando fresche bibite di varo frizzo. La sorella Rosina stava per andare via quando siamo arrivati, ma s’è fermata un quarto d’ora, o poco più, insieme al marito, in nostro “onore”, I segni dell’altra sera c’erano ancora. Anche in lui. Viva la vita. E i suoi variegati strumenti.
Sento aleggiare un rimprovero nella stanza solitaria: viene da te, quaderno, o dalle pareti foderate di libri? Mi recita che il Vietnam è assente da troppo tempo dalle tue pagine. Ti garantisco che non lo è dalla mia memoria e dalle mie viscere. Ma il pericolo dell’usura non risparmia neppure le più abiette tragedie. Capìta l’antifona? Che non sia troppo tematizzato non vuol dire che manchi come sfondo costante. Né solo “lui”: vedi di fare un giro in lungo e in largo per il magnifivo pianeta...


2 maggio

Ricorrenze da passare sotto silenzio.
Mi regalo confetti di nostalgia avvolti in palpiti di meditazioni metafisiche sul quaderno dello spirito santo. Una sintesi pericolosa di pensieri cupidi nelle latebre della coscienza deposta: abdicata a un in-sé vischioso di poco sartriana memoria. Perché poco, dopotutto? Mica lo strabico Jean Paul snobba quel rapinoso in-sé di duplice erettilità, dall’un genere all’altro della grammatica. Und sie gut und schnell antwortet, und schluβ sagt nicht!
Pomeriggio medio: arriva Susanna per lezione di matematica. Rina, che sta in casa dei vicini Carolui, viene, su mia richiesta, a presenziare. Cioè a fare da garante verso e contro la maldicenza possibile della gente, e lasciare tranquilli i genitori di lei. Ma si scoccia, Rina, di essere disturbata “per queste fisime”. Oh umore delle femmine! Ma se a volte è proprio lei che si lascia “tentacolare” dalla gelosia. Che poi, data la bellezza di Susy, è cosa di quasi pacifica normalità. Fisime o non fisime, Rina rientra. Un po’ di malumore, ma lascia la poco loquace compagnia e ritorna a casa.
Susy fa qualche progresso nella risoluzione dei problemi di geometria, che sono tanta parte della materia nell’istituto magistrale e titolano una delle prove più difficili agli esami finali. Negli interstizi dei tempi operosi, i confetti di cui al capoverso 2. Non è che das Madchen, infatti, se ne stia segregata nell’hortus conclusus del lavoro. Il quale non è certo “concluso” à la clef, ma à la porte fermée, oui.
Che stranezze, nelle lingue straniere: da dove sgorga, in Teutonia, quel neutro das affibbiato a una Mädchen? Ma forse una ratio c’è: una Mädchen non merita l’ovvio die finché non ha aperto il sancta sanctorum? Che stramba logica! Però Fräulein è femminile! Marcata distinzione, dunque, fra le due parole per noi equivalenti
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Oggi occupazione dell’Università romana. Si calcola un’assemblea sui tremila studenti e una cinquantina di cattedratici. Animata discussione, concordia appassionata sull’impegno antifascista, posizioni variegate, ma con prevalente convergenza sull’obbiettivo. Che si incarna in una lettera al Presidente della Repubblica, in cui si denuncia “la situazione di violenza e illegalità che regna nella città universitaria, dove un’infima minoranza di teppisti che hanno fatto propri i simboli del nazismo, del fascismo, delle SS e dei campi di sterminio possono impunemente aggredire studenti e professori che non condividono metodi e idee appartenenti al più vergognoso passato e condannate dalle leggi di tutti i paesi civili”. I firmatari si dichiarano eticamente e polemicamente corresponsabili dei fattaci denunciati, e in particolare della morte di Rossi, per non aver reagito subito e adeguatamente alle reiterate violenze dei provocatori, tollerandone, di fatto, la tracotanza impunita. Dietro l’occupazione e la movimentata assemblea c’è stato, ieri, festa del lavoro, un folto corteo di operai, spintosi fino alla cittadella universitaria in segno di solidarietà con gli studenti e i professori democratici.
Eppure, tanto dispiegamento di forze pacifiche non disarma la teppa fascista: lo stesso 2 maggio 300 sqadristi assaltano la facoltà di Legge. Ma trovano pane per i loro denti, come disse uno studente a un telegiornale. Anche la polizia non ha potuto fingere di non vedere la chiara provocazione fascista ed è intervenuta con un più convinto impegno contro i provocatori.

3 maggio

La Gazzetta di oggi non ha la pagina letteraria, che attendevo con ansia. Perché, poi?
Ma forse dovrei rivolgere a me il fragrante epiteto immaginato e sottinteso per l’amico: sempre così teso, io, così sbavante. E magari blindato verso le possibili motivazioni altrui: che kazzo ne so, io, del perché non è uscita la “Gazzetta letteraria”? E’ pensabile che non ci siano delle buone ragioni, non dipendenti dal capriccio di Ciaccò? No. E allora, pazienza. Pazienta, Paolo, pazienta. E ricorda che la calma paga sempre. Anche quando si ha fretta. Festine lente.

Spiegato Heidegger in IV. Il sein zum Tode piace alle alunne. Anzi, tutto il contesto, con la sua angoscia, il Dasein inguaiato nel mondo, la gettatezza, il debito e la colpa, e tutta l’altra bazza di appena velata discendenza teologica, ma sventolata con fiero piglio laico. Eccita, quel sermoneggiare minacciando, eccita la carica sadica e masochistica delle sensibili girls di pronta ricezione reattiva.
Anche stasera, lezione di matematica a Susy. E alla futura promessa cognatina (che poi tanto “tina” non è, anzi piuttosto prosperosa). Però, questo tempo mangiato da siffatti “ingombri”! Pazienza per Susy, ma anche quest’altra, ora. E meno male che è sveglia, questa Rosanna. E di buona volontà. Tanto diversa da Susanna. Questione di ormoni. Diverse, le due, di morfologia e fisiologia. Oltre che di età: un paio di anni più giovane Rosanna (breviter, Rosy). Che è molto più quieta di Susy, meno nervosa, meno effervescente, fino a sembrare un po’ pacioccona. Ma poi, di intelligenza solida e ponderata perspicacia.

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