sabato 30 maggio 2009

Susanna, frammento n. 30


14 maggio

A scuola. Provocazioni (affettuose, a sentir loro) di colleghi euforizzati dalla tregua. Il devoto della discussione “teologica” mi chiede (siamo in ricreazione, sala professori) se faccio progressi verso Damasco; un altro attacca, da democristiano sacrestiale, tutta la sinistra, a sua stagionata convinzione, dominata dai comunisti, a loro volta tutti lecca-Russia e criptostalinisti; un terzo va sul leggero, mi fa le congratulazioni perché nelle mie classi avrei (le ha passate in rassegna tutte?) le ragazze più belle dell’Istituto. Cosa dovevo rispondere? Al primo ho detto che ancora c’è tempo; al secondo che non ero in vena di polemiche insensate; al terzo che quanto diceva lui era forse vero, ma che non ne avevo merito alcuno, né balbettio di vantaggio. E come mai se n’era accorto solo ora, quasi alla conclusione dell’anno scolastico? Gli interroganti si dichiararono tutti e tre insoddisfatti: gli ho dato appuntamento ad altro giorno, da definire e destinare. Ma l’insistenza del primo e del secondo mi slacciò questa risposta: “In questo momento non sopporto l’odore di sacrestia.” Apriti cielo. E a cielo aperto precisai che volevo dire tanfo. Bum. Il duo falsano mi dette sulla voce ad una voce: tu offendi, noi si scherzava, vai giù pesante, non sai stare allo scherzo, e via tempestando. Dico, con magro sorriso su labbra a stento ricomposte, che sto scherzando anch’io, che avrebbero dovuto capirlo, il tono era quello. E dài smorzando. Ma subito dopo sono uscito dalla sala fumigosa di Monital, ho sceso le scale acciaccate, e ho respirato una boccata d'aria fresca nel cortile. Dove le invidiate “mie” ragazze belle mi si sono accostate ad arco semiavvolgente. Masticando panini imbottiti (tranne Susanna) e cicalando, tra punti interrogativi ed esclamativi: “Come mai da queste parti?” “Oh, il professore di filosofia tra noi, quale onore,!” “Toh guarda, don Paolino il filosofo è sceso nei quartieri bassi” “A quale contingenza [s’inserisce una delle brave] dobbiamo l’evento della sua luminosa presenza tra noi umili alunne?” E così via, tra battutacce banali e sfregatine umorose di cervellini più svegli. La mia risposta, cumulativa e collettiva, accusò il fumo tabagico. Certe di cogliermi in risibile contraddizione, Adele e Giusy sbottarono uno schernevole “Ma se sta per accendere!” “Vero, ma io non sopporto soltanto il fumo passivo, il fumo degli altri (specialmente al chiuso). Il mio lo gusto. Quando è solitario” “Stramba coerenza” secondo le due furfantelle procaci. “E poi io fumo poco” – mi giustificai. E sempre all’aria aperta, e mai tra chiuse pareti di stanze abitabili (il che non era “densamente” vero).
Giusy era in vena di insinuazioni provocatorie: “Lo sa, professore, che il suo collega Tritolo fa la corte a Susy?” Susanna reagì con elegante nonchalance, fingendo modestia riduttiva: “Ma no, pettegola, si tratta solo di interesse estetico. E’ un artista, no? Gli piacerebbe – dice – farmi il ritratto.” Finzione boomerang, tuttavia: le sue care compagnucce si affrettarono a sottolineare: “Modesta, però, la fanciulla!” Ma senza vera malizia (al massimo un po’ di naturalissima invidia): chi poteva negare l’evidenza? La sfacciata evidenza, vorrei dire. Mia tentazione vincente sul placido sereno del self control: scendo in campo direttamente: “Sì, ma di una modestia ambigua. Non le si fa la corte, però si ammira tanto la sua bellezza da far sospettare interessi meno casti!”. Anche se tento, così, di defilarmi con tono para-professorale, giocando sulla presunta falsa modestia di Susy. Né mi assiste la saggezza della brevità sentenziosa: “Ma come siete pettegole, ragazzine! Qualcuna di voi potrebbe negare che Susy sia bella? Che merita tanto un interesse estetico quanto un ventuale forte impegno sentimentale? E cosa ci sarebbe di male, e di strano, se fosse come dice Giusy? Tritolo è giovane, scapolo, e non è mica brutto.”
Per carità, nessuna di loro voleva negare le belle qualità e i relativi meriti della compagna; nessuna ci trovava nulla di male nell’eventuale corteggiamento di un giovane professore scapolo per un’affascinante alunna. E via aggiustando, con tono fra il serio e il faceto. Forse, in qualcuna (meno sicura delle proprie virtù estetiche) non senza una lacrima di aceto magnogreco. Ma tronchiamo qui, con un comodo omissis, un resoconto che, forse, non merita tanto uso di tempo e di occhi. Nel mio interieur ronzava di molesta sicurezza quel corteggiamento annunciato.

Dopo la lezione di ieri, stasera nostra visita alla famiglia di Susy. Un paio d’ore fra ciarle, moniti all’alunna, scherzi dei piccoli e giochi con Giampiero. Per concludere la serata con la televisione di Studio Uno. Dove s’accendono ricordi e nostalgie, con la complicità di qualche canzone dorelliana e qualche ospite illustre. Ma soprattutto con lei, la maliarda che affascina Susy, lei, la “tigre di Cremona”, la voce più tosta dell’intero panorama canoro al femminile. Hai capito anche tu, quaderno, che sto parlando di Mina? Bravo
*
“La conseguenza del peccato originale e la sua presenza nel singolo è l’angoscia…” (Kierkegaard, Il concetto dell’angoscia, Firenze, 1953, p. 63).
Questo storto buffoncello geniale, questo aborto (per certi versi anche) simpatico della fisiologia astenica e superansiosa, come assolutizza! Il peccato originale, l’angoscia come suo alluvionale prodotto remoto e transgenico, la misericordia di dio come la sua ferocia di sadico burlone! Gli strani effetti di una monocultura metafisica, letteraria, verbalistica innestata su quella fisiologia geneticamente “infelice”. Eppure, un grano di verità sta nascosto anche in sproloqui simili: se tu credi alla fandonia del peccato originale, niente di più consequenziale che attribuirgli le tue sofferenze mentali. Semplice scambio di cause ed effetti. Il temperamento ansioso è molto impressionabile; se dall’infanzia lo si rimpinza di favole terrificanti, da adulto ha ottime probabilità di scambiare lucciole con lanterne, di invertire relazioni causali, e via distorcendo. L’impressionabilità ansiogenetica produce fenomeni di angoscia? E’ la condizione più propizia per credere ai miti severi, tipo peccato originale e sacro contesto. E quindi di farne discendere come effetto quella che è la causa del credere. La reazione si amplifica se soccorrono catalizzatori: per esempio, un padre pastore luterano, un vivo senso del peccato in quel pastore non puro, poco docile, che osa perfino bestemmiare il cielo (è questa la famosa “scheggia nella carne” del trepido Severino? Lo si pensa, fra emeriti del ramo), la mancanza di una cultura scientifica e laica, che funzioni da depuratore rieducante contro l’immane spreco dell’infanzia plagiata; e cose simili.
Ma come mi prende la mano la tentazione divagatoria. Perché Kierkegaard, stasera? Lo devo spiegare lunedì alle mie fanciulle volenterose, alle graziose smaliziate ragazzacce della quarta E, la fibrillata classe di Susanna la bersagliera.
Da dove è saltato fuori quel bersagliera? Me lo sono trovato sulla carta quasi a mia insaputa. Il lampo di sovrapposizione fra la Gina nazionale e la mia Susy è scoppiato qualche frazione di secondo dopo. Certamente, il chiasma levita su qualche indubbia analogia, soprattutto di temperamento (col personaggio voglio dire, più che con l’attrice). Ma, detto fra noi, quaderno, Susy ha più fascino (di viso e di corpo). Sia detto con tutto l’affetto e rispetto per la Lollo e il suo invidiato charme.

Domenica, 15 maggio.
0re 23

San Giovanni Battista de la Salle, fondatore delle Scuole dei Fratelli cristiani. Onore al merito. Meglio mangiare pane condito di pie bugie che digiunare masticando verità tristi; meglio nutrire il cervello di grammatica pimentata di favole che custodire ignoranza assediata di freddo e tentazioni a rischio di vita.

Di mattina, verso le dieci e mezzo, siamo andati, noi tre più Susy, a Siderato. Passeggiata sul nuovo lungomare, con Giampiero che impegna molto Susy, sosta in un bar del centro, anch’esso nuovo (e luccicante). Mi vengono in mente le colline di sabbia che occupavano lo spazio dell’attuale lungomare nei primi anni del mio soggiorno magnogreco. Una delle mie classi era ospitata, insieme a due di altro corso, in un capannone di legno piantato sulla parte alta della sabbiosa, larghissima spiaggia. Nell’inverno, la bava di Nettuno giungeva a lambire quelle tavole e le sottostanti palafitte insabbiate. Godereccia, la passeggiata, sotto la clemenza di un cielo azzurrissimo e la carezza di un caldo forse già precocemente estivo. Tante le belle donne intente al passeggio, alcune con ghiotti gelati in mano e lingue leccanti senza pudiche titubanze incrociando uomini di varia età e curiosità. E tra cotali bellezze, molte ragazze della fascia “cronica” 16-18.

Sera. Di ritorno da Siderato: girovagando, andiamo a finire in casa di Susanna. Vi restiamo poco, perché la sorella Rosina stava per rientrare a casa sua e noi ci offriamo di portarcela in macchina. Com’era prevedibile, Rosina ci invita a fermarci. Restiamo poco più di un’ora. Giampiero è subito impegnato dai bambini presenti, noi, sorvegliandoli al minimo, sprechiamo fiato in ripetizioni di cose dette altre volte. Oltre che gustare, come da rito, dolcetti e fresche bibite.
Susy, però, partecipa distrattamente: è strana, turbata, agitata. A volte assente, con ritorni di presenza a scatti nervosi, quasi sussultanti. Che si scaricano sul fratellino, sempre in vena di birichinate, con urla improvvise, quasi volesse dar seguito materiale a quel “ti mangio!” E quel diavoletto sembra divertirsi a infiammarla di rabbia manesca. Cosa diavolo ha? Se capita che rimaniamo soli nella stanza per qualche minuto, accenna a cosa che vorrebbe dire, ma non può. E deve trattarsi di faccenda grave, se la squassa così. Si capisce che le brucia l’esiguo stomaco e vorrebbe vomitarla in confidenze liberatorie. Ne sono scosso, agitato, cupamente incuriosito.


16 maggio

Pomeriggio tardo-sera. “Può un padre sentire un affetto morboso per la figlia?“ “Ahimé, tutto è possibile in questo porco mondo. E fra gli eredi parlanti degli arcaici scimmioni anche un poco dell’impossibile”. (Anonimo, Una possibile tragedia, p. 90)
Come ti dirò, quaderno, le vibrazioni sbiancanti del corpo investito da imprevista bufera? Che sarà accaduto in quel promiscuo convoglio domestico?
“Say!” “It’s difficult, very difficult, my dear friend. And I don’t know if it is fit to tell that…”. “Tell, it will be better for you…” She tells (Lino Oscuro, An italian chance, p. 33)
Il resto, into the secret case, bien fermé. Per ora.

Poi. Poi il piccolo dio frecciuto ispirò le consuete pratiche liturgiche. Pensieri di devozione operante si condensarono in miocinetica scrupolosamente mirata ai luoghi deputati. Ihrer Leib rispondeva con moltiplicata intensità mistica. Quasi che l’assaut sauvage tentato su di lui lo avesse sovraccaricato. Ma di che? Di nuova sensibilità? Di un certo pimento gocciolante du sacrilege respinto, ma ignaro della propria natura?
“How many, this time?” “Don’t you see?” Non ci capisco nulla, ma foi. Sie sagt: “You wait me sayng to you: it’s enough? Be fresh!”
E va bene: piego il capo all’ineluttabile. E all’incredibile. How many, combien de, wieviel, cuànto…?
*
Uscirà, non uscirà? Io tento di scriverlo. Quattro giorni di costante lavoro. Forse lo finirò. Forse uscirà. Finora, procede bene.
Quel mélange, mon Dieu! L’atroce e l’esaltante, l’abominio e l’elevazione, l’inverosimile e l’angosciante. Qui è la vera angoscia, caro Severino! “How can, she, now, live under the same roof? Ein Vater! Her Father! Son père! Su progenitor! Comment tolérer l’onteuse méchanceté d’un père jusqu’àlors aimé! The natural keeper de sa chasteté! (op.cit., pg. 50)

Sto male. Le sigarette mi avvelenano. Ma più di esse, le mie angosciose chances. Ancora una volta: lavoro, entusiasmo, eros susinico (e tanto erosivo): un assemblage a rischio salute. E a probabaile riduzione durata al banchetto di Crono. Puntuali, le mie distonie sporgono il capino. Come folletti guizzanti in sberleffi.
Che tristezza, questo silenzio coatto. Che brulichio di parole al calore bianco, sotto la sua cappa di piombo! Quale ansimare di urgenze strozzate.
Ma quante volte, di’? Morire, dormire. Forse sognare (ma meglio di no, se i sogni smottano in incubi).
“L’angoisse apparait donc lorsque la réalisation d’une tâche correspondant à l’essence de l’organisme est dévenue impossible” (K. Goldstein, La structure de l’organisme, Paris, 1951, pp. 250-251). Appunto: questo silenzio è la mia angoisse. Perché la sua voce, die Stimme der Stille di heideggeriana memoria (in degrado punitivo!) resta dentro, s’ingolfa nei labirinti molecolari de mon organisme, ne contrasta l’essence.

*
18 maggio

“Il signor Rodolfo Boulanger aveva trentaquattro anni; di temperamento focoso e d’intelligenza perspicace, aveva molto bazzicato le donne, e le conosceva bene. Quella gli era parsa graziosa; pensava dunque a lei e a suo marito.”(Gustavo Flaubert, La signora Bovary, BUR, p. 122)

Sto leggendo Madame Bovary. Perché quella citazione? Ovvio: le coincidenze. Piccole, ma gonfiate di contingenze spurie. Al limite della forzatura.
Flaubert è ubertoso. Quel suo stile, analitico e lirico insieme, convince e seduce. Minuzioso custode dei dettagli, questo gran sacerdote della Scrittura litterata ha il genio della lingua: sempre la parola giusta, il termine appropriato, per ogni cosa. Fosse pure la più tecnica e lontana dall’esperienza tipica dell’homme ès lettres. La sintassi, agile e duttile, senz’essere manierata, modula frasi scorrevoli e dense. Ma la clarté cartesiana si scioglie sovente, e nei momenti giusti, in caldo respiro émotif o in meditazione radicale. Né c’è occasione a rimpiangere scarsità di humour e carente ironia, ché, anzi, il disincantato vivisecteur ne convoglia una copiosa, rapsodica pioggia a spruzzare, demolitrice, sonore maiuscole. Il tutto col massimo riguardo alla psicologia dei personaggi, cui adatta sempre immagini descrittive e dialoghi.
Una caratteristica di questo magistero stilistico è l’alternanza calibratissima di parti “decorative” (paesaggistiche, di interni, o d’altro tipo) con sequenze dialogate. Capolavoro (poi tanto imitato) di arguzia “depressiva” (smaiuscolante) all’interno dell’alternanza (ma qui quasi soltanto dentro il dialogo) è l’intersezione fra il monologo galante del giovane Boulanger all’assedio di Emma e frammenti del discorso, pomposo e filisteo, del consigliere di prefettura ai Comizi agricoli. Un sottile contrappunto tra le fruste smancerie del seduttore e le battute triviali del discorso comiziale che si avvia a concludere. Ecco qualche scampolo:
“Cento volte ho pensato di andarmene; invece l’ho seguita, e sono rimasto.” “Concimi” “Così come resterò stasera, domani, ogni giorno, tutta la vita” “Al signor d’Argueil, una medaglia d’oro!” “Perché non ho mai trovato in nessuna un fascino così completo” “Al signor Bain di Givry Saint Martin!” “Io conserverò il Suo ricordo…” “Per un montone merinos…” “Ma lei mi dimenticherà, sarò passato come un’ombra…” “Al signor Belot, di Nostra Signora di…” “Oh no, mi dica che sarò qualcosa nel suo pensiero, nella sua vita!” “Razza suina, premio a pari merito: ai signori Sehèrissé e Cullenborg; sessanta franchi!” – Rodolfo le stringeva la mano e la sentiva calda e fremente come una tortorella prigioniera che vuol riprendere il volo; ma, sia che cercasse di liberarsi o che rispondesse a quella stretta, Emma fece un movimento con le dita. Egli esclamò: “Oh, grazie! Lei non mi respinge! E’ buona, comprende che sono suo. Lasci che la guardi, che la contempli…”.
*


In realtà, Emma è più sua di quanto lui non sia di lei. Un banale “commento”? Ma no: una cifra. Mi ficco in Rodolfo. Parzialmente, si capisce. Dopo tutto, abbiamo alcune cosucce in comune: il culto della...bellezza, l’età...
Qualche ora prima di questo transfert dialogico, il Rodolfo in ottavo ripeteva il sortilegio che lega Emma a sé: sapienza digitale nella ferita calda du l’abîme. Lento, delicato, poi in progresso di vitesse, rapido, incalzante, questo Rodolfo erudito e imbrigliato sa, tuttavia, spremere ormoni di volupté che incollano la vibratilissima Emma carnale al suo periglioso sovoir faire. Ma il Rodolfo cifrato ha capacità d’amore. Senza eccessi drammatici, sia pure, ma le ha: autentiche e spossanti per un imbrigliato. Né può fare a meno di temere gli eccessi degli altri. Soprattutto delle altre. Per dolci che possano mostrarsi all’anima.

Sie sagt dass sie ist sehr verliebte der Philosophie. Lei si dice innamoratissima della filosofia, ma non lo dice con effluvi verbali: gli si mostra e dimostra tale. Lui, scettico, e malsicuro, è pur costretto, a volte, ad ammainare il suo scetticismo, così offensivo per lei. Che protesta, infatti.
E sente di essere ihr. Ma egli non è scapolo, come il Rodolfo flaubertiano. E teme l’échafaud della vergogna, dello scandalo. Parce qu’il est même un père amoureux.
Sapienza e pazienza. Fruga le vischiose routes entre les jambes vogliosamente écartèes: elle rèpond, las mejillas soffuse di crescente rougeur, preme, jadea, se ronge les lèvres, stringe quella sapienza entre las piernas nerviose. Madamoiselle sans gêne…Una, due, tre volte, quasi di seguito. Come ne La noia di Moravia, quando Cecilia dice a Dino: “Sai quante volte sono …?” E fa segno con le dita, una, due, tre… Così ha provato a farla contare, muta, allungando prima il pollice, poi l’indice, infine l’anulare, con la speranza, appagata, che si fermasse quel misterioso conteggio.
Las piernas, poi, tremano. Cunnilinctus: il valore del momento. Questo dover essere intenziona il prossimo futuro assiologico.
*
“La scelta del valore, come è scelta della possibilità della relazione positiva con se stessi (valore della unità personale) così è anche scelta della possibilità della relazione positiva con gli altri esserci e con le cose mondane, onde la realtà del valore consiste, soggettivamente, nella unità personale, solo nella misura in cui vale anche intersoggettivamente e oggettualmente, e viceversa” (Semerari, Scienza nuova e ragione, p.114).
Suppongo che un cunnilinctus non riuscirebbe a trovare dignitosa collocazione nel firmamento di tanta assiologia. Ma tant’è: esso splende nel cielo di Rodolfo come astro platonico impaziente di incarnarsi. À la prochaine fois?. Non crede, Rodolfo, che ci possa sedurre valore più capace di realizzare insieme la propria scintillante unità personale e la “relazione positiva con gli altri esserci e con le cose mondane”. Gli altri, per lui, sono, mentenant, une seule autre. E le cose mondane, quella sola cosa vivente e palpitante. Sotto le sue espansioni prensili e sotto il suo linguaggio adorante. Così comincia già a pensare alla contropartita: la sua anima entre los labios de ella…
*
Questo Rodolfo cochon e purissimo sperimenta a volte la deliziosa ebbrezza di tenere l’intera persona di lei intorno al dedo medio della sua mano destra: una nube discreta, invisibile e pervadente, un velo spugnoso e sottile de olor, che, per farsi sentire, spinge il dedo del sortilegio sotto los orificios de la nariz. E lì lo vuole e lo tiene, in vacanza da ogni peso cosista dei “valori”: accostato alle nari, e in oscillante contatto tangenziale. L’odore dell’anima di lei: che fiotti di adrenalina dentro la rete da quell’impalpabile motore chimico, capace di attaccare ali ai micromoti particellari. Magari, intanto, il cervello si annebbia. Ma che nebbia squisita. Né turba più di tanto il vento che soffia fra gli intrichi neuronici a sparpagliare pensieri di santa utilità domestica e professionale.
Quasi quasi torna a suonare allarmi questa (in)sensibilità morale. Né posso barare, quando sono nel cuore del vortice, scambiare la paura dello scandalo con la sensibilità mimata. Altro è il tempo dell’imbarazzo: tempo di raccoglimento domestico, di presenze care e ignare.

Tra lo svariare del disagio: il pensiero, ricorrente, dell’Inappellabile circola, veleno nel sangue, annerito di nicotina. Mi logoro. E temo che l’ultima Amante si avvicini. A passi di felpa. Forse morirò di cirrosi epatica: come zio Silvio? Vade retro, pensiero di atomi rutilanti.

Quanti regali per il mio compleanno, ieri. Tutte le tre classi della mia sezione, la E, si sono mobilitate: una graziosa sveglia tedesca e un volume d’arte (Renoir) da parte della quarta; due romanzi dalla terza; un tagliacarte e una forbice da tavolo dalla seconda. La cognatina ancora virtuale, cioè la fidanzata, ormai ufficiale, di mio cognato, nonché fratello di Rina, s’è fatta presente con un bel portasigarette d’argento. Last but not least, anzi il top della regaleria, un set di coccodrillo, portafoglio e cintura, dalla strana Susanna, che non voleva farlo sapere a nessuno. Regalo strettamente personale, dietro e oltre il normale contributo al regalo collettivo della sua classe. Personale e segreto! E secondo lei che cosa avrei dovuto raccontare a mia moglie? Che li avevo comprati io, quei due costosi pezzi? Non s’era posto il problema, l’innocente. Le capita spesso: desidera una cosa, e, come una bambina, l’avvolge di assoluto. Alla fine, sia pure a malincuore, s’è persuasa: Rina doveva per forza saperlo. Che non lo sappiano le sue compagne, almeno! Be’, questo non è un telos difficile. Che interesse avrei, io, o avrebbe mia moglie, a raccontare le nostre private relazioni con Susy e famiglia alle sue compagne di classe e, fra loro, alle due o tre amiche?

Mi vogliono bene, le mie alunne. Fare l’analisi a questo “bene”? A che pro? Gli ingredienti si conoscono, più o meno: interesse utilitario (captatio benevolentiae), interesse femmina-maschio (mi secca dire sessuale. Richiama intentiones non sempre presenti nel composto), simpatia umana, gratitudine (tratto tutte con generosità, sia pure graduata). Naturalmente, più d’una si crede innamorata del pur non strabiliante sottoscritto. Potenza della cattedra, questa povera modalità del potere, sempre stuzzicante per il gentil sesso costretto al riposo-fatica dei banchi. Qualcuna mi racconta perfino i suoi sogni: quelli in cui sono presente io. Ma ai dettagli, il racconto si fa reticente: la cultura morale paesano-meridionale resiste, malgrado tutto, alle ventate della modernità. Almeno, nel linguaggio.
Potenza della cattedra, ho scritto. Ma l’impiccione par excellence, il quaderno vanitoso, nicchia, resiste alla chiusura. Che cosa c’è che non va? Niente, sussurra, un piccolo dettaglio: madama la Cattedra si sente a disagio tutta sola: ha bisogno di un paio di damigelle. Per esempio? Queste damigelle: onorata da vero sapere e capacità di comunicazione erga discipulos et puellas. Viva la modestia.

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