martedì 20 gennaio 2009

GAZA 2009. LICENZA DI UCCIDERE E COMPLICITA’ TRASVERSALE


La storia non si ripete? Al contrario. E spesso al peggio. Nel caso Palestina, certamente: un copione che si reìtera in termini tragicamente peggiorativi, da sessant’anni. Mentre scriviamo è in corso l’ennesima strage di civili palestinesi ad opera del ferrigno Israele supermarziale. Come tutte le altre volte, l’opinione cosiddetta liberal-moderata si mobilita a difesa dell’improbabile Dulcinea offesa. Il softwere di tanto zelo non si aggiorna: Israele è sempre l’aggredito che “ha il diritto di difendersi”. Innocente, cavaliere senza macchia, ignaro di tracotanza impunita. Anche stavolta: Hamas ha rotto la tregua e tira missili sulle città israeliane, dunque Israele può massacrare impunemente. Beninteso, si deplora (visto che le parole sono gratis) la morte “accidentale” di quei civili, e soprattutto dei bambini, ma si fa presto a transitare dal cordoglio di poco spessore al trasferimento della colpa al solito nemico fellone, qui Hamas. Come ieri (Libano, 2006) Hezbollah, ieri l’altro Al Fatah. Ed ecco sfilare sui teleschermi e le colorate pagine del Corsera i soliti nomi dei devoti di sant’Israele: dal filosofo franco-ebreo Bernard-Henri Lévy al rotondo Ostellino, dal Panebianco rincagnato al sinfonico Battista; in commossa fila tutta l’intelligentsia italo-ebraica. E pazienza quando si tratta di fanatici blindati, ma fa male vedere un Fassino accorrere a impinguare del suo scheletro credente le masse filo-ebraiche catramate. Idem per il “buon Veltroni” bipartisan e altri reduci stanchi del fu Pci. Compreso il Presidente Napolitano, che, bontà sua, ha scoperto l’ equivalenza tra antisionismo e antisemitismo. Un brutto segnale per i critici della dirigenza israeliana, sempre esposti all’alibi sconcio di quell’infame equazione. Si preparano sanzioni penali (almeno 4 anni di carcere) per il reato di razzismo: certe sparate spianano la strada agli zelatori del bavaglio.
Certamente, qualche distinzione va fatta. Per esempio il primato assoluto delle castronerie non potremmo negarlo all’apollineo Gasparri, quando spara questa esclusiva verità-minaccia: “Hamas deve finire di massacrare il popolo d’Israele con i suoi missili”. Tanto massacro non aveva fatto nessuna vittima prima dell’attacco israeliano, e ne ha prodotto una (solo una) dopo i primi macelli ebraici. Gasparri è la gonfiatura grottesca del fenomeno, ma questo dilaga fra tutte le teste politiche di uguale (dis)orientamento: s’ignorano precedenti, si rimuovono evidenze, si obliterano fatti e misfatti pluri-decennali. Insomma, si mistifica la storia d’Israele. Di cui rivediamo, qui di seguito, alcune tappe e glorie.
La tregua violata. Hamas l’unica colpevole? Durante la tregua Israele ha continuato a braccare e uccidere esponenti di Hamas: il 4 novembre un missile ebreo uccise uno di quei capi. Non basta: chi ha onorato la verità brutale delle restrizioni cui la popolazione di Gaza è stata sottoposta da anni? Restrizioni d’ogni genere: di mobilità, cibo e acqua, lavoro, assistenza sanitaria. Nella Striscia si vive assediati: la verità sulla tregua violata s’accende d’indignazione nelle parole di Mussa Abu Marzuk, numero due di Hamas a Damasco: “Non è assolutamente vero. Nei sei mesi di cosiddetta tregua Israele ha compiuto più volte operazioni militari contro di noi. Molti blitz unilaterali che nessuno ha mai denunciato e che hanno causato una quarantina di morti palestinesi. A ciò si aggiunga il blocco economico e il totale isolamento per la popolazione di Gaza. Gli accordi della tregua stipulavano confini aperti. Israele non li ha rispettati ben prima che noi rifiutassimo di rinnovarla, perché nei fatti inutile e vacua” (Corsera 7 gennaio)
Hamas come male assoluto. I raids aerei (60 in una sola notte!) e le bordate dei carri armati fanno macerie di case rifugi scuole e relativo contenuto umano, donne e bambini doviziosamente compresi. A tutto commento, i soliti noti di cui sopra ripetono: la colpa è di Hamas. Quei diavoli, infatti, piazzano cannoni in abitazioni civili con la luciferina intenzione di provocare vittime da sbandierare a disdoro dell’odiato nemico. Come se non fosse possibile scartare un bersaglio di sicuro impatto criminale. E l’esiguo spazio sovrappopolato della Striscia (circa 1.500.000 di residenti) non rendesse impossibile evitare bersagli civili quando si spara nel mucchio. Hamas è uno dei gruppi della Resistenza palestinese sviluppatisi nel corso del lungo viaggio d’Israele attraverso la prepotenza fulminante e la spiccia violenza. Hamas ha vinto regolari elezioni contro le forze moderate con referente il “realista” Abu Mazen: aveva diritto di governare, secondo logica democratica. Non le è stato permesso da una variegata combutta ostile: inevitabile la scelta radicale e l’arroccamento a Gaza. La valutazione d’Israele è in queste parole di Netaniau: “Con i terroristi non si tratta: si eliminano”. Cui fa eco il capo della comunità ebraica italiana, il poco irenico Pacifici: “Accettiamo come interlocutori solo chi non parla con Hamas.” Target dichiarato del governo ebreo: “distruggere Hamas”. Due anni fa l’attuale premier Olmert (in poco onorevole uscita) aveva detto. “Riporteremo il Libano indietro di vent’anni” Sogno svanito. Come sarà l’attuale: la storia si ripete.
Israele l’intoccabile. La più lampante verità e realtà di fatti diventa calunnia se la si invoca a carico di quello Stato così democratico: quando il cardinale Martino si permise di affermare che Gaza è “un campo di concentramento”, un coro d’indignate reprimende strombettò su tutti i media. Sintesi delle quali, quest’olezzante sospiro con stella di David: “Ha parlato come Hamas”. Se qualche voce onesta (dall’Onu in giù) accusa Israele di risposta eccessiva ai qassam palestinesi (che demoliscono solo qualche casa) e invoca lo ius in bello (che comanda ai belligeranti “la proporzionalità al danno subito” e l’assoluta salvaguardia degli “obiettivi civili”), Israele risponde picche e corregge a suo uso e consumo quel Diritto: “Un ospedale o una chiesa, se difesi da truppe nemiche diventano obiettivi militari”. E gli italici lecchini, pronti al cenno di tanto Giure, applaudono. Mentre Human Rights Watch rintuzza invano: “il fatto che i miliziani si mescolino ai civili non esime Israele dal rispetto delle norme”. E’ da prendere con le pinze, poi, l’accusa ebraica che gli uomini di Hamas usino donne e bambini come scudi umani. Nessuna pinza, ma gola aperta nei fan italiani.
Le armi del casto Israele. Un bel campionario di barbarie Hi Tech: bombe al fosforo bianco, proiettili al Du, ordigni, cluster bomb; e soprattutto le sofisticate bombette che esplodono solo quando hanno raggiunto i tunnel a 15 metri di profondità. Tutte squisitezze (regalate da quell’icona planetaria delle democrazie infette che sono gli Usa) destinate più ai civili che ai militari. Questa robetta era stata usata anche nella recente guerra del Libano (2006), dove ancor oggi si lavora a nettare il terreno dagli osceni ordigni. Qualcuno degli autorevoli claqueurs del coro filo-ebraico ha avvertito qualche prurito di dissenso da tanta civiltà democratica? Non ci risulta. Anzi: Pannellone recita sempre il suo “Europa vigliacca” perché non apre le braccia a sì nobile modello di umanità. Furio Colombo conferma la sua fede guercia: “Niente processi a Israele”. Frattini assicura che “Hamas è il problema”.
Nessuno del coro ricorda che lo Stato d’Israele è nato dal terrorismo: per anni, bande ebraiche (Stern, Irgun, ecc.) insanguinarono la Palestina sotto mandato britannico. Il più clamoroso degli attentati (1946, condotto dal gruppo Irgun, guidato dal futuro premier Begin) all’Hotel King David, sede del Governatorato britannico, fece un centinaio di morti e molti feriti (Netaniau, da premier, celebrò quell’azione come una gloria nazionale). La prepotenza arrogante verso nazioni e agenzie internazionali è stata la musa ispiratrice della storia israeliana. Si parla tanto del diritto d’Israele all’esistenza, ma si oblitera il fatto che quello Stato nasce da un’auto-proclamazione del maggio 1948, che fu il primo sberleffo all’Onu, dove si discuteva una ridistribuzione (meno ostile agli arabi) delle terre fra le due comunità. Anche allora la colpa fu data agli Stati arabi attaccanti in risposta alla tracotanza israeliana. Da quel primo scontro bellico, la storia medio-orientale si snoda come sequenza di guerre vinte da Israele. Al centro, la folgorante campagna “dei sei giorni” contro la coalizione araba, nel giugno del ’67: una vittoria clamorosa e un punto di svolta: nasce la questione del territori occupati: Golan, Striscia di Gaza, Cisgiordania, Sinai, Gerusalemme est. Con i territori, subito colonizzati, germogliò un altro futuro di guerre e scontri con i palestinesi, presto organizzati in formazioni politico-militari di resistenza. Il format del contrasto prevede un rapporto invariabile da uno scontro all’altro: Israele riceve un graffio e risponde con una coltellata. I raid aerei uccidono anche quando le punture palestinesi non fanno vittime. La prima volta che Israele paga il giusto prezzo della sua arroganza coincide con la guerra del Kippur (1973) un attacco egiziano a sorpresa, coordinato con la Siria, che atterra gli aerei ebraici sul Golan con i missili sovietici Sam 6. Ma la fedele America accorre a salvare l’alleato protetto dalle lobby ebraiche americane. Seguono gli orrori di Tall el Zatar (1976) e di Sabra e Chatila (1982): massacri d’inermi civili consumati da cristiani maroniti al servizio d’Israele. Quando Clinton tentò di mediare per una pace accettabile (incontro di Oslo, ‘93; “summit dei pacieri” a Sharm el Sheik. ’96, e altri incontri) il tentativo fallì per la doppiezza d’Israele. L’ala biblica di quella società ibrida organizzò un attentato mortale contro il premier Rabin, l’uomo di Oslo e della stretta di mano con Arafat. Nel ’99 Ehud Barak, premier israeliano, offre un ritiro dai Territori in apparenza allettante, ma in realtà truccato. Si blaterò, nella solita stampa filo-ebraica, d’un’incomprensibile cecità di Arafat, presidente dell’Autorità palestinese: ha rifiutato il 97% dei territori! E dàgli all’ingrato. Nel luglio del 2000 si consuma un altro tentativo: Barak offre lo stesso piatto respinto nel ’99. Arafat si sente beffato. Nuova ripresa nel settembre: “Riuscirò a mettermi d’accordo con quest’uomo” annuncia Barak a Clinton, by phone. Ma ci pensa il massiccio Ariel Sharon a minare l’incontro con la passeggiata fra e moschee. Nasce la seconda Intifada. Fioccano i morti da ambo le parti, ma con la solita prevalenza palestinese. Primavera 2002: Sharon, nemico personale di Arafat, fa strage di palestinesi, demolisce i loro ministeri, assedia Arafat nell’ultimo frammento della sua residenza bombardata: manca acqua cibo luce... Uno sfregio in pieno viso, davanti a un mondo impotente, dominato dagli Usa complici. Arafat perde autorità: deve accettare Abu Mazen come primo ministro. Si spera in questo moderato. Sharon, parzialmente rinsavito, sgombra Gaza, cacciandone i coloni ebrei. Cominciano gli attacchi suicidi di Hamas, e la comunità ebrea conosce il dramma della morte violenta dentro la sicurezza tarlata. Muore Arafat (veleno?). Correva l’anno 2004. Poco tempo dopo, un ictus paralizza Sharon: ricominciano gli insediamenti interrotti da lui, le divisioni fra palestinesi volgono al peggio e sboccano nello scontro armato.
Perché Arafat rifiutò quell’offerta truccata? Perché, come spiegò Mubarak in un’intervista alla Stampa, quell’apparente 97% era bucherellato da tante postazaioni ed enclaves israeliane da ridurlo al 45%. Noam Chomsky lo paragonò alle riserve indiane. In più, Israele pretendeva l’intera Gerusalemme.
Terrorismo, frutto avvelenato di troppi errori e orrori. L’evidente inutilità della via pacifica (road map, e quant’altro) verso la pace, ha generato la non-soluzione terroristica di Hamas, Hezbollah, Jihad islamica. Niente di più tetro di ciò che colpisce nel mucchio. Ma che si voglia definire terrorismo solo quello del kamikaze e non anche la ben più terribile risposta militare di uno Stato che spara altrettanto nel mucchio, che assassina oltre 300 bambini e massacra un migliaio e mezzo di civili, (contro una perdita quasi nulla dei suoi killer in divisa), be’ è un piatto che lasciamo volentieri al gusto drogato dei fanatici pro-Israele .
Ci s’indigna per le deliranti frasi contro gli ebrei del mondo, ma non ho sentito un solo scatto di vero sdegno per i bambini palestinesi massacrati. Quegli slogans evocanti camere a gas e svastiche ci disgustano, ma sono parole, vento, mentre le bombe che distruggono intere famiglie sono crimini orrendi e chi non li condanna con empatico raccapriccio e anzi ne “razionalizza” l’inevitabilità non merita rispetto. Si tratti di ministri o di giornalisti, si chiamino Pannella o Frattini, Casini, Follini, Fini e simili paladini... O Lucia Annunziata, massiccio esemplare dell’equidistanza “razionale”, sabotatrice dell’ultimo Annozero accusando Santoro di stare al 99,9% dalla parte dei palestinesi perché ha voluto onorare la cruda verità mostrando bambini colpiti dalle armi ebree. Intanto Tsaal continua a sparare su scuole ospedali e altri insediamenti Onu, mentre in Italia si dà addosso a D’Alema, perché ritiene, correttamente, necessario trattare con Hamas e con le altre potenze interessate a una vera pace. Che, temo, non sarà la nostra generazione a vedere.
Congediamo questo sfogo mentre si annuncia una tregua unilaterale d’Israele, convinto di avere raggiunto “tutti gli obiettivi”. Sulla pagina accanto, un titolo di differente sapore: Fuoco dei tank sulla scuola Onu. E’ il quarto istituto dell’Unrwa colpito. Dentro s’erano rifugiati i soliti civili con i soliti bambini fiduciosi nell’Onu.

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