lunedì 26 gennaio 2009

Susanna frammento nove


3 febbraio

Venerdì 29 gennaio è uscito sulla Gazzetta la mia recensione agli Epigrammi di Marziale (Einaudi, trad. di Guido Ceronetti, con testo a fronte), un grosso volume della collezione “I Millenni”, mandatomi dal consulente Ernesto Ferrero (quasi involontario dono di Natale). L’articolo, col titolo (redazionale) Marziale offeso, indugia un bel po’ sul “tema Marziale” (vita fisiologia opera) prima di affrontare la traduzione di Guido Ceronetti. In questa parte “introduttiva” mi sollazzo, con la guida del grande Concetto Marchesi, citandone congruamente il brillante saggio sul poeta. Nella seconda striglio parecchio l’estroso e spregiudicato traduttore. Il coltissimo e flessibile Ceronetti si presenta troppo infatuato del mito “attualizzante” e finisce col pasticciare fino a un discutibile esito estetico e comunicativo. Avevo annunciato la recensione polemica a Ernesto Ferrero, che mi ha risposto con la seguente letterina:

Caro Assaggi, grazie della Sua lettera e dei promessi interventi ...polemici: utilissimi ad alimentare il dibattito e quindi benvenuti.
Le mando volentieri due novità: Cinque romanzi brevi della Ginzburg e il Miele di Levi: due libri che non hanno bisogno di presentazioni e le raccomando vivamente.
Molti cordiali saluti
ErnestoFerrero

Oggi ho spedito al Ferrero un ritaglio della piccata recensione. Non ho ancora ricevuto i libri che mi annunciava. Ma non ho ragione di dubitare: più volte Einaudi-Ferrero ha mantenuto le promesse di invio.
Ho mandato un ritaglio anche a Enrico Falqui, che aveva recensito il libro sul Tempo e che cito nel mio articolo.
Paci non ha risposto (ancora) alla mia lettera col ritaglio del Galileo. Se non risponderà, la molla del diniego è chiara: gli ho suggerito di leggere la Trofologia universale del Gulizza. Ohibò! Oggi gli ho riscritto, mandandogli un altro ritaglio: l’articolo sulle due culture, uscito nella pagina letteraria della Gazzetta. Ciaccò l’ha sistemato con una prosopopea di gran richiamo, coronando il titolo di sottotitoli. Ecco il mastello seduttivo: La battaglia per l’eliminazione delle interferenze metafisiche (occhiello). Contributi della scienza (titolo). Sull’argomento un libro di Herbert Meschkovski, “Mutamenti nel pensiero matematico” e un saggio di Enzo Paci, “Fenomenologia e cibernetica”– Le due culture (catenaccio-sommario). Una pirotecnica. L’insolito spreco denuncia l’alto gradimento del malloppino. Ad maiora. L’articolo finisce con questo capoverso: “Gioverà ricordare che quel movimento ha anche in Italia i suoi
validi esponenti, dal Paci all’Abbagnano, dal Cantoni al Preti, da Luigi Volpicelli a Ugo Spirito, Genco Gulizza, Giovanni Maria Bertin, Galvano della Volpe, Ludovico Geymonat, e altri ancora. I quali, da direzioni diverse e magari polemicamente contrapposte, portano tuttavia ciascuno il proprio contributo in quest’opera di ‘liberazione dell’uomo’”. Ruffianesco e provocatorio. Ma tant’è.
Rientrando a Siderato da Akiskene, lunedì sera, ho trovato le bozze dei miei due scritti che Volpicelli ospiterà sul prossimo numero dei suoi Problemi della Pedagogia. Le ho spedite oggi stesso, doppiamente corrette.. Attendo con ansia il primo numero del nuovo anno.
Ieri è arrivata anche una cartolina postale del Gulizza, che mi dice di avere letto con vero godimento il mio articolo su Marziale e mi sprona a scrivere i due saggi da tempo propostimi: Dalla danza all’arte e Itinerari della Ragione. Dovrebbero essere due agili volumetti, del genere che piace a lui. E che a me riescono tanto difficili da realizzare, data, e non ben controllata, la mia tendenza ad abbondare ingozzare strafare; a dire e dire e documentare. Bulimia paralizzante.
Intanto è certo che in tutto questo mese non scriverò una parola, dovendo affrontare, il 20 prossimo, la prova scritta del concorso a cattedre di filosofia e contorno. Non ho studiato per niente in vista di questo concorso: conto, bensì, sulla mia preparazione remota e rinnovata nell’insegnamento, ma dovrò dilatare alcune competenze poco utilizzate a scuola. E leggere almeno qualche classico.

Lunedì sera sono stato a trovare Ciaccò. E’ piuttosto depresso: ha saputo di avere una stenosi mitralica, invece della tanto e così a lungo diagnosticata asma. Mi ha rattristato profondamente. Ho fatto del mio meglio per confortarlo. Impresa quasi disperata: anche le parole e la sintassi più accorte, cioè accorate, puzzano del logorio abusivo. Ma lui sa che non v’è finzione nelle mie parole. Ieri sera avevo cominciato a scrivergli una lettera, ma ho dovuto interromperla per un violento attacco di nausea di origine tossica. Vedrò domani.


16 aprile

Troppo tempo è trascorso dall’ultimo appuntamento con questo quaderno: troppi giorni senza una nota, senza un segno-gancio per qualche evento da recuperare alla memoria. Forse niente di importante ha stimolato la mia pazienza cronachistica, forse la ricorrente pigrizia corporale ha avuto il sopravvento sull’appello della memoria tradita, che non vive senza supporti d’inchiostro. Starò a vedere, nei prossimi giorni, se sarò capace di recuperare qualche brandello del vissuto domestico e scolastico.
Di quest’ultimo, soprattutto, potrei fissare qualche momento evolutivo di gradito sapore intimo: alludo alla Sfinge dagli occhi di risacca, cui si deve il riconoscimento di sviluppi lusinghieri per la metafisica. Specialmente per l’eros platonico come slancio dell’anima verso la bellezza e la sua eterna idea, fonte e fondamento esemplare di ogni corporale bellezza terrena. Ma non è questo il momento di poterne trattare senza il rischio di una profanazione: attenderò tempi meno distratti dalla cronaca pubblica e dalla rabbia.
*
Il Corriere della sera di ieri ospita un “fondo” di Panfilo Gentile dal titolo assai perspicuo: Un ricatto allo Stato. Il ricatto di cui discorre l’illustre giornalista sarebbe lo sciopero dei ferrovieri di due giorni fa; ma, più in generale, ogni sciopero degli addetti ai pubblici servizi. L’insigne autore dal nome glorioso detesta questo genere di scioperi, e ci ricorda che anche Filippo Turati la pensava come lui. Che più?
Forte di così autorevole sostegno (ma perché i grandi uomini dovrebbero pensarle tutte giuste?), Gentile si chiede: “Dovremo dunque considerare gli scioperi nei servizi di interesse pubblico come un male irrimediabile, che bisogna subire con rassegnazione come si subiscono i nubifragi, le alluvioni ed altre sciagure naturali?” E risponde, deciso: “Nossignore”. Infatti, “il rimedio c’è ed è semplicissimo”. Il rimedio proposto dallo zelante difensore dello Stato, davvero semplicissimo, è questo: “Lasciar scioperare senza muovere un dito”. Ed ecco la giustificazione, sottile e veramente “superiore” (come gli interessi difesi) del rimedio: “Uno sciopero fallito (…) significa il ritorno, almeno per qualche tempo, alla tranquillità e alla docilità. Lo sciopero si punisce da sé quando non è premiato”. Capite? Agli uomini di Stato seguire tanto consiglio. Per parte nostra, suggeriremmo al Maestro editorialista di estendere il
suo rimedio a tutti gli altri tipi di sciopero: si capirebbe meglio la originale vocazione democratica che vi è sottesa. Perché democratico, don Panfilo, lo è; soltanto, non vuole che i bassi interessi di categoria passino “sopra ai superiori interessi della comunità”. Probabilmente, i superiori interessi della comunità sono stati lesi anche nella persona superiore di Panfilo Gentile. E dei suoi colleghi, che hanno, non meno di lui, riempito di magnanimo sdegno le colonne patriottiche di altri onorevoli fogli della nazione.
Quanta di questa brava gente, olezzante di sacro rispetto per lo Stato, sarà rimasta a piedi il giorno dello sciopero? Per forza si sdegna. Sarebbe capitato anche a noi, che abbiamo aspettato la nave traghetto dalle cinque del pomeriggio alle due e mezzo della notte, in quel di Villa San Giovanni, se fossimo persone di prestigio. E patriottiche, come i Gentile di varia taglia. Non c’è accaduto di sdegnarci soltanto perché non lo siamo. O non abbastanza.
Forse non si sente tale neppure Enzo Forcella, che sul Giorno di oggi critica, con arguzia, “i catoni della stampa benpensante”, e il Gentile in particolare. Del quale Forcella non fa, bensì, il nome, ma ne riprende i giudizi con le sue espressioni (“inammissibile”, “ricatto”, ecc.) e cita questa frase sintomatica – “non vogliamo entrare nel merito delle agitazioni in corso” – per ribattere al “catone” del Corrierone che proprio il merito, in questi casi-limite, “condiziona ogni giudizio e ragionamento, non solo sullo sciopero dei ferrovieri, ma sul comportamento della classe dirigente, sulla concezione dello Stato, sulla programmazione, la politica dei redditi, le divisioni castali all’interno della burocrazia, ecc.”.
Come non consentire? Quello di Forcella dovrebbe essere anche il giudizio di ogni uomo sensibile e veramente democratico. Inammissibile non è questo sciopero, ma il suo movente: cioè il premio “fuori busta” di lire 250.000 percepito dai duemila dirigenti delle ferrovie, “all’insaputa” dei restanti 178.000 dipendenti, rimasti all’asciutto. Quale logica democratica, o quale deontologia, potrebbe ammettere simili discriminazioni, davvero “castali”?
*
Sviluppare questi appunti in un articolo per Il Gazzettino: ce la farò, nei prossimi due giorni? Siamo nel pieno delle vacanze pasquali, e la famiglia vuole il suo tempo. A me, intanto, manca dispneicamente la Magna Grecia. Ma in fondo potrei proporlo anche così, con questa conclusione un po’ brusca: non sarebbe priva di una sua efficacia. Forse.
Ah, la Magna Grecia! Come continua penetrare nel mio spirito ridesto al tocco del grande Platone erotico. Con la piccola correzione, che il mio Fedro si ferma alla condensazione citologica e ctonia della suprema bellezza iperuranica. Pensi, quaderno, che un occhio profano potrebbe bucare questa cortina filosofica fino al nocciolo reale del discorso allusivo? Dipende dalla qualità perforante dell’occhio profano: quello che riguarda il presente dubbio non è occhio da simili imprese.

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