martedì 20 gennaio 2009

Susanna frammento otto


quaderno n. 2

10 gennaio

Trascrivo la lettera di Enzo Paci pervenuta giorno 2.
Milano, 28 dicembre 1964
Caro Assaggi, infinite grazie per il suo articolo. Apprezzo il suo tentativo, ma credo difficile che riesca. Abbagnano ha una sua opinione sulla fenomenologia – che io ritengo per lo meno dubbia – e non penso sia disposto a cambiarla. Del resto, la fenomenologia, come altre cose hanno [sic] bisogno di tempo, di molto tempo e di molto lavoro.
Quest’anno ho dedicato il mio corso a Whitehead e a Russell.
E lavoriamo ad altre cose.
Con rinnovati ringraziamenti, la prego di gradire i migliori auguri e i più affettuosi saluti.
Enzo Paci

L’articolo di cui Paci mi ringrazia è Polemiche sulla scienza. La sua lettera, come tutte le altre illustri, qui trasferite o no, è scritta a mano. Purtroppo, la grafia è sempre più “ardua”. Con questa sono otto le lettere che Paci mi ha scritto.
Commentino all’ottava. Che potrei intitolare “ho stanato la preda”. Dunque, quel che immaginavo è vero: tra i due campioni di Sophia c’è stata rottura (o vogliamo dire “presa di distanza”?). La delicata diplomazia del linguaggio non riesce a nascondere la profondità del solco divisorio apertosi fra i due campioni. E potrei dire senz’altro (o forzando un po’ le cose) fra maestro e discepolo. Abbagnano, in effetti, considera la fenomenologia husserliana l’ultima e più lambiccata filosofia intimistica: una versione del soggettivismo estremo, questa versione nobile del narcisismo, che s’illude di procedere rigorosamente e macina fantasmi al posto di solidi corpi di pertinenza sensibile e controllabile conoscenza scientifica. E non ha tutti i torti. Come dimostrano, ad abundatiam, gli eccessi ridicoli di epigoni e pappagalli impegnati a descrivere l’eidetica (essenza) non solo delle “ontologie regionali” (religione, etica, economia, politica...) ma anche e perfino della “leoninità” (e perché no dell’asinità? Ma forse lo hanno già fatto). E’ vero: purus philosophus, purus asinus. Il pur criticabile e para-teologale don Benedetto di via Trinità Maggiore aveva i suoi lampi di ironica lucidità e buonsenso.
*
Siamo dunque ritornati a scuola e nella Magna Grecia. Festosa accoglienza delle alunne. E di alcune in particolare. Difficile ripresa dopo la lunga parentesi, ma siamo già in linea di ricomposta normalità. L’Innominata lampeggia, furtiva e interrogativa. La filosofia, si sa, è poco adatta al troppo emotivo cervello femminile, vocato più alla corporale empeiria che alle volatili astrazioni dell’estremo pensiero. Ma, con tenacia paziente e ostinata costanza, riusciremo a capirci: almeno una discreta porzione di sostanza filosofica dovrà entrare in quelle delicate menti. E, in una versione speciale, si spera, in quella dell’enigmatico bocciòlo in progress (verso un auspicato schiudersi di petali rossi). Metaforeggiare allusivo? Ma certo, mio confidente muto.



12 gennaio

L’anno vecchio, rotolando sugli ultimi concitati giorni di un denso dicembre, è finito, dunque, da dodici giorni. Si snoda il nastro imbronciato del nuovo. Bilanci e progetti mi sfuggono di mano, pestati dalla fretta e dal disappunto. Poche realizzazioni nel vecchio, pochissime in questi primi giorni del nuovo: ecco il disappunto. Scusanti e attenuanti. Le ore di lavoro, scarse, vengono strappate a una situazione domestica difficile, vischiosa, soffocante. E coincidono, spesso, con alcuni prelievi dal sonno sacrificato. La gioia, peraltro grande, della paternità ha il suo prezzo: il bambino assorbe molto tempo, e limita fortemente, con la sua fragorosa ipercinetica solare presenza, le mie possibilità applicative. Mi lamento, ma vorrei, d’altra parte, un dio da ringraziare per la felicità di sentirmi vivere meglio assai che in un pur gratificante articolo (pubblicato e travolto dai giorni), nella carne fresca e piena di grazie di un bambino che molti mi invidiano. Del resto, per la mia ridotta attività dovrei accusare piuttosto la mia scarsa resistenza fisica che qualsiasi altro ostacolo. Potrei lavorare di notte, ma non ce la faccio. Che lezione farei la mattina a scuola dopo una notte di insufficiente sonno e riposo? Ecco che rispunta l’arcaica verità del piccolo immenso bios: un corpo forte, cioè resistente alla fatica, è condizione primaria di ogni buon successo. Ma Leopardi, Kafka, Kierkegaard, Poe,…? Non sono l’eccezione, ma la conferma: quale successo hanno avuto in vita? E quanta vita hanno dovuto sacrificare per la postuma vendetta? Mi chiedo, profanamente: ne valeva la pena? Il risarcimento post mortem compensa le gravi sofferenze e il furto di tanta esistenza? Bisognerebbe credere all’animuccia immortalina per rispondersi con un rotondo sì. Lo so, il discorso si potrebbe rigirare verso altri approdi, ma piantamolo lì, per ora. Magari “consolandomi” con un altro elenco di martiri della vocazione letteraria, dell’eccesso di cervello, della passione culturale: Lucrezio, Virgilio, Dante, Pascal, Flaubert, Maupassant, Flaubert, Čecov, Baudelaire, Proust…
*
Oggi è uscito un altro mio articolo sulla Gazzetta d. S.: un confronto ideologico-letterario fra Vittorini e Cassola (titolo del pezzo). Ancora un appunto sul lavoro extrascolastico: nel numero di dicembre della rivista trimestrale reggina Il gabbiano è apparso il mio articolo su Gulizza, chiestomi da lui stesso: titolo “lampante”, Un maestro proibito. Il direttore Sciumara mi ha mandato un pacco con i 100 estratti richiesti (per lire 1500) e due copie della rivista, una per me e una per Gulizza. Nel pacchetto c’era pure una cartolina con su stampata una poesia del direttore: una bagatelle, dalla quale chissà che incanto del lettore si attende l’autore. Ha scritto anche il nuovo amico Pino Pioppo, sollecitandomi una recensione al suo volumetto Tre profili. Ma ha avuto già due recensioni sulla Gazzetta, grazie all’amico comune Ciaccò; come potrebbero ospitarne una terza? Né io saprei mandarla altrove. Ma forse si tratta soltanto della mia solita pigrizia. Vedremo.
Il confronto fra i due narratori rivali mi inclina verso Cassola: meno ideologico (anzi, per nulla, direbbe lui), ma più poeta; attento a schivare le tentazioni di certo manierismo, che, invece, impiglia il baffuto don Elio, con le sue iterazioni da rosario nei dialoghi insensati e nelle lungaggini descrittive con pretese liriche non sempre calibrate sugli esiti e le risorse narrative. Il maestro Gulizza è davvero proibito: una bella congiura del silenzio circonda la sua opera, troppo schietta e mordace per la sensibilità del mondo accademico e giornalistico dominante nella serva Italia, di dolore ostello. E serva di almeno tre padroni: Casa Bianca, Bianco Padre e Narciso egolatrico dell’intellettualità delle due sponde politiche.

23 gennaio

Un’altra settimana è precipitata nel forno di Crono: non riesco a “coprire” in queste noterelle affrettate la corsa dei giorni, che mi sembra troppo e vieppiù veloce. Fatti ed emozioni di dieci e più anni fa mi si accendono nel ricordo come fossero di uno o due anni addietro. E l’ultimo dei miei giorni futuri mi viene incontro, spaventoso e inesorabile, sotto forma di incubi notturni. Di giorno, poi, nella fragile luce del sole invernale, a rincalzo, fitte improvvise e piccole trafitture alla regione mediastinica fanno eco al monito “disordinante” delle notti storte. E allora si capisce il valore eugenico del prezioso sonno.
Cambiando argomento, vi ritrovo altre convergenze spinose: il lincèo Abbagnano non ha risposto alla mia seconda lettera. Non ha gradito l’articolo che gli ho mandato insieme alla lettera? E’ quello in cui tento una limatura delle differenze tra la sua interpretazione di Husserl e quella di Paci a proposito della scienza. Non deve averlo apprezzato tanto. Forse perché io, stringi stringi, davo più consenso a Paci che a lui. Vallo a sapere. Nella lettera, assai “audacemente” io gli esprimevo il desiderio di sviluppare la parte (il grosso della trattazione) della mia tesi sull’esistenzialismo italiano che lo riguarda in una monografia generale sul suo pensiero. E gli chiedevo, per tanto fine, suggerimenti e indicazioni per procurarmi i suoi primi libri.
Ritorna a scampanare la domanda pudenda: perché non ha risposto? E si avvia il motore fumigante delle supposizioni amarognole. Ne sgorgano due probabili cause, sul momento: l’articolo, troppo benevolo col suo “avversario”, un sostenuto senso del suo prestigio (di maestro e di accademico lincèo), che non può scendere dal suo “altare” per dare indicazioni a uno sbarbatello di provincia sulla propria bibliografia. Magari avrà avuto paura di lasciarsi intrappolare in una corrispondenza poco gratificante e nociva al suo tempo operoso. E’ già tanto che abbia risposto una volta – forse – si sarà detto. Bah! Certo che le mie supposte ipotesi tendono coerentemente al nero di seppia. Sempre, in casi del genere.
Quattro giorni fa è uscito un altro mio articolo sulla “Gazzetta letteraria”, la pagina di Ciaccò: si tratta di una recensione al romanzo di Elio Bartolini, La donna al punto, inviatomi, in “omaggio per recensione”, appunto, dall’editore. E’ una recensione severa, per una buona metà quasi stroncatoria. E va bene così.

25 gennaio

La settimana scorsa ho speso alcune ore in una fitta corrispondenza letteraria, spedita quello stesso giorno. Una letterina a Carlo Cassola con un ritaglio del mio articolo Vittorini e Cassola, una letteruccia a Vittorini con un altro ritaglio dello stesso articolo (questa, indirizzata presso l’editore Bompiani); una letteretta a Volpicelli. Quest’ultima, con il dattiloscritto di una lunga “chiacchierata” sulle sartriane Parole, umoroso fluiloquio autobiografico del versatile guru della sinistra movimentista, perfettamente godibile (per virtù di scrittura e coraggio demistificante). Punto. Ancora una lettera ad Abbagnano, per scusarmi, ma senza sdilinquimenti, della precedente, qualificandola, tra sincero mea culpa e ammiccante ironia, una “gaffe da provinciale” (nella busta ho infilato pure un ritaglio del mio Galileo super, dove il pensiero del Maestro lincèo ha una sua parte). Ancora: una mini-lettera al consulente della Einaudi con un ritaglio dell’articolo cassoliano; un’altra al poeta e “studioso serio” (definizione di Gulizza, derisa da Ciaccò) Sciumara, chiedendogli se gradirebbe pubblicare sulla sua rivista il mio Galileo un po’ ingrassato da aggiunte significative, ma non compatibili con gli spazi di un quotidiano. Infine una breve ad Arrigo Benedetti con un ritaglio cassoliano.
Oggi ho raccolto parte della messe seminata. Hanno risposto: Abbagnano (che consideravo “perduto per sempre”), Cassola, Sciumara, Volpicelli. La lettera che più mi ha choccato (di emozione soddisfazione paura...) è, naturalmente, quella di don Nicola salernitano. E’ scritta su un foglio “intestato” così: Università degli Studi di Torino / Seminario di storia della Filosofia Trascrivo la lettera:

Prof. Paolo Assaggi / Siderato Marina / (RC)/
Caro Professor Assaggi,
spetta a me scusarmi e lo faccio con la speranza che vorrà essere indulgente. Il fatto è che dalla data della Sua lettera sono stato quasi sempre fuori sede (a Roma per due concorsi universitari e altre faccende) e mi ha raggiunto solo la posta che esigeva risposta immediata.
La ringrazio dell’attenzione che porta ai miei scritti, di quelli da Lei richiesti posso mandarLe soltanto Le sorgenti irrazionali e Il problema dell’arte. Gli altri sono introvabili e l’unica copia di mia proprietà non è quasi mai presso di me perché mi viene continuamente richiesta. L’introduzione all’esistenzialismo dalla prima edizione in poi non ha avuto molte varianti, solo qualche correzione.
Leggo sempre volentieri i Suoi articoli perché mi sembrano bene informati, criticamente validi e chiari e precisi nell’esposizione: La prego di continuare a mandarmeli. A proposito delle “Polemiche sulla scienza”, Lei ha forse ragione di dire che Paci ed io siamo sostanzialmente d’accordo: l’articolo cui Lei accennava riguardava strettamente Husserl, non Paci.
La ringrazio degli auguri, che Le ricambio cordialmente, per Lei personalmente e per il Suo lavoro.
Mi creda
Suo
Nicola Abbagnano
P.s. A parte le vengono inviati i 2 libri
Via Valeggio, 26 Torino

*

Le sorgenti irrazionali è solo un mezzo titolo: il libro giovanile (22 anni!) di Nicola Abbagnano (n. 1901), mostro di precocità intellettuale e di tenacia, aggiunge e completa con del pensiero. Un genitivo fondamentale, e ricco di avvenire. Il forse incuneato fra don Nicola e don Enzo è una gentile attenuazione diplomatica: nella lettera di Paci lo stridore della pas petite différence si avverte meglio. E’ vero, comunque, che l’attacco di Abbagnano punta direttamente e “strettamente” su Husserl, e solo indirettamente su Paci (più altri interpreti, italiani e non, del nuovo idolo seduttore dell’accademia europea. La dea Moda non risparmia neppure l’austera Sophia.)

Il mio lavoro potrebbe dunque sentirsi incoraggiato da tanta considerazione e sollecitazione. Peccato che non accada lo stesso alla mia salute.
Alla quale non giova neppure l’ospitalità che Volpicelli concede ai miei scritti. Riporto l’ultima sua letterina.

Caro Assaggi,
grazie della recensione a Sartre, che andrà nel numero della rivista che sto preparando.
Tanti cordiali saluti.
Suo Luigi Volpicelli

Ma la firma, scarabocchio illeggibile in verità, è solo una volenterosa virtualità. Il foglio su cui riposa la striminzita para-letterina, reca la solita “intestazione”: “I Problemi della Pedagogia Rivista bimestrale diretta dal prof. Luigi Volpicelli. Ordinario di Pedagogia nell’Università di Roma Direzione e Amministrazione: Roma, Via Corsini, 12; Telefono 656.708”

Dunque, il mio Sartre va bene? Stento a crederci. Tre lunghe serate e molte ore di lavoro non sarebbero perdute (almeno, nel senso che si faranno vedere in giro nel loro faticoso parto).

P.s. Non sfottere, quaderno delle mie narcisistiche confidenze (e connesso masochismo penitenziale). Chi ti dà il diritto di farlo? Non atteggiarti ad alter ego con pretese di Super Ego. E nemmeno devi montarti la testa per i miei piccoli successi. Carlo Cassola mi regala due paroline di ringraziamento. Soltanto due paroline di buona educazione. Troppo indaffarato? Più di Don Nicola salernitano?

Caro Assaggi,
grazie di avermi mandato il ritaglio dell’articolo, che altrimenti mi sarebbe sfuggito. / Con molti cordiali saluti, mi creda, /Carlo Cassola

La lettera, battuta a macchina, è indirizzata così: Prof. Paolo Assaggi, /Siderato M. (Reggio Calabria). Ma chi ha detto a Cassola che io sono professore? Non ricordo di averlo mai scritto, nel mittente, sulla busta, o dentro. La firma e l’indirizzo mostrano la calligrafia minuta e pulitina dello scrittore.
Nell’articolo Vittorini e Cassola io dico ai “duellanti”: hai ragione tu, ed ha ragione lui: intendo, quanto a posizione teorica. Ma quel che conta sono i risultati operativi. E’ lì che vi dovete misurare e giudicarvi. Detto fra noi, quaderno, io preferisco Cassola. Con tutti i suoi limiti. E con buona pace della spocchia avanguardistica, che lo incasella nella categoria “fuori casta” delle Liale. Forse lascio intravedere questa preferenza nell’articolo. Ma non ho già scritto in queste pagine qualcosa di simile? E quand’anche? Vittorini, invece, silet. Né posso contare a occhi chiusi sulla lealtà delle redazioni e degli uffici stampa editoriali: la mia lettera con ritaglio era puntata sul recapito dell’editore (Bompiani).

Siderato, 28 gennaio

Appunti in promemoria. Chiedere a Paci il fascicolo speciale di Aut – Aut 1958 dedicato ad Antonio Banfi (nn. 43-44). Chiedere, in omaggio per recensione: a Einaudi il famoso macro-saggio di Lukàcs, La distruzione della ragione (2a edizione, 1964); a Sugar, il non meno famoso e discusso, ma assai meno ingombrante, saggio Eclissi della ragione, di Max Horkheimer (indirizzo: Galleria del corso, 4, Milano). E giacché ci siamo, anche i seguenti autori e testi: Galvano Della Volpe, Umanesimo positivo ed emancipazione marxista; G. Lukàcs, Teoria del romanzo; G. Lukàcs, L’anima e le forme; Francis Jeanson, La fenomenologia. Li leggerò tutti? Improbabile. Ma non impossibile. Nei tempi lunghi. La domanda iniziale doveva, però, essere: li manderanno? Stiamo a vedere. Se l’editore lo manda, leggerò per primo La distruzione. Povera ragione, quanti nemici: chi la distrugge, chi l’affossa in eclissi, chi la tradisce fornicando piamente con la Fede. E quanti cultori e devoti, specialmente a sinistra. Gulizza ridacchia: uccidono un uomo, anzi una donna morta: la divina ragione per lui è solo una vuota maiuscola. Vuota, si capisce, in quanto presunta e millantata “categoria spirituale”. Ma le maiuscole non sarebbero che amplificazione e trasposizione promozionale di realtà fisiologiche. In fattispecie, la razionalità sarebbe solo tecnica di autogestione dell’uomo-corpo col suo originario (e versatile) motore fagico, prima e ultima sostanza, secondo il trofologista, dell’intero cosmo biologico: dall’ameba a Leonardo, come ama dire e scrivere questo enfant terrible della senilità offesa.

Akiskene, 31 gennaio

Appunti per l’articolo Le due culture (ovvero, Umanesimo e scienza), da rifare, in versione doppia, breve e lunga. Vedere: Ugo Spirito, Inizio di una nuova epoca. Specialmente i capitoli “L’avvenire della scienza”, “Critica dell’umanesimo”, “Responsabilità della cultura”. E poi: Giovanni Maria Bertin, Esistenzialismo, Marxismo, Problematicismo: pagine, 96-100, 91...
Altri progetti e relativi appunti. Per Dove va la ragione, vedere: U. Spirito, Il problematicismo, La vita come ricerca, Inizio di una nuova epoca. Ludovico Geymonat: Saggi di filosofia neorazionalistica (1953). L’esigenza di una storia integrale della ragione, nell’opera collettiva a cura di G. Giannini, I presupposti della trascendenza (sic!), G. M. Bertin, Op. cit.; Giuseppe Semerari, Scienza nuova e ragione; N. Abbagnano, Filosofia Religione Scienza; Possibilità e libertà (pp. 83-106).
*
Ieri, a scuola, durante la ricreazione, si venne a parlare, fra colleghi, del decennale della televisione italiana e dei programmi dell’anno appena trascorso. Anzi, degli ultimi due o tre anni. Si formarono due “partiti”: uno con tendenza laudatoria e l’altro con l’opposta. Nel primo, prevalevano le donne, entusiaste, o comunque soddisfatte di programmi come Il mulino del Po (regia Sandro Bolchi, interpreti principali, Raf Vallone e Giulia Lazzarini), I giacobini (con Serge Reggiani, Warner Bentivegna, Alberto Lupo e Sylva Koscina), le commedie di Eduardo De Filippo (Filumena Marturano, Natale in casa Cupiello, Napoli milionaria); fra gli spettacoli comici, primeggia Il signore di mezza età, di Marcello Marchesi, con Lina Volonghi e Sandra Mondaini; un po’ meno luminoso il successo, pur notevole, di Paolo Panelli, con la sua Piccola Enciclopedia Panelli, estrosa galleria di personaggi comici incisivi. L’altro fronte, con maggioranza maschile, tendeva a evidenziare più i limiti che i pregi degli spettacoli seguiti. Smarrito fra cotanto senno, io dovetti confessare che seguo poco la televisione, ma che avevo potuto apprezzare I giacobini, la buona resa di Vallone nel Mulino, le ottime forme della Koscina (vedi pertinenza di certi cognomi!) e qualche suo momento di recita felice, le trovate di Marchesi, eccetera. Con qualche preferenza per il Dadaumpa di gamba lunga (ah, le Kessler!), la Mina di Studio Uno, il teatro di Eduardo, il Gian Maria Volontè della Vita di Michelangelo. E qualche altra cosetta e cosuccia. Le colleghe, tutte innamorate, nubili e sposate, di Alberto Lupo e Raf Vallone

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