mercoledì 5 novembre 2008

Lettera al "Corriere" sulla tortura

Com’è strana la vita, a volte: chi avrebbe detto che le idee disinvolte di un rude generale dell’OAS potessero coincidere con quelle di un raffinato politologo d’accademia: era stato quel generale, infatti, a sostenere la liceità della tortura durante “La battaglia di Algeri” (per dirla con un celebre film). Al prof. Panebianco ha già opposto corrette obbiezioni il prof. Magris; ve ne aggiungiamo ancora un paio. Ha considerato, Panebianco, il rischio che il suo “compromesso necessario” possa riuscire una facile strada in discesa per ogni tipo di abuso? Un allarme-attentati qualsiasi, anche fasullo (o autopromozionale) potrebbe scatenare sequestri illegali e torture a gogò. E non lo sfiora il vecchio “dubbio” di Cesare Beccarla sulla efficacia di quello “strumento” de veritate pretenda? Un uomo sotto tortura spesso ammette colpe inesistenti e tutto quanto cerca il seviziatore pur di far cessare il supplizio. La storia (degli umani orrori) trabocca di simili casi: quante infelici innocenti confessarono di essere streghe al tempo beato di quella caccia, quanti ignari “passanti” si dissero untori nell’altra Storia felice della Colonna infame?
E chi ci darà mai la truce aritmetica delle confessioni stile Guantanamo, Abu Grahib e relativi cloni sparsi, a pagamento, ai quattro angoli del pianeta?

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