mercoledì 5 novembre 2008

LETTERA DI GINO RAYA

Proseguiamo con la pubblicazione rapsodica del Raya epistolografo quoad nos. La lettera che offriamo oggi alla curiosità culturale dei nostri tre lettori è un buon test della mobilità di quel rapporto: mobilità intellettuale, ma anche pratico-conomiuca, di metodo editoriale, di polemica culturale. Il tutto, si capisce, su uno sfondo di solida amicizia, capace di reggere e metabolizzare dissensi e bronci da una parte e dall’altra. Sfrigolii, insomma, cui, come si vedrà, non manca spesso il pimento della battuta ridevole e dell’arguzia stemperante. Ne concreteremo esempi nel commento al testo epistolare. Che andiamo a trascrivere.

Roma, 23 apr. 1980 (1) o conto corrente?
Signor Padrino,
ricevo or ora la tua del 20, cosa rapidissima, mentre non ho visto il vaglia (1) di cui mi parli (ogni volta che ho ricevuto qualcosa del genere te ne ho dato pronta comunicazione). Poiché esco poco o nulla, ti scrivo in fretta perché spero in una visita, cui accollare l’incarico della presente racc. Racc. perché vi accludo l’assegno dei 500.000 (il maschile non sottintende i “liri” verghiani), perché pacta sunt non solo servanda, ma – per mia inguaribile mania – servanda illico et immediate.
Ti ringrazio delle note sulla Alienazione (ho trovato l’art. bell’ e dattiloscritto tra mie vecchie carte); quando vi tornerò su, cercherò di decifrare meglio la tua frettolosa grafia.
Il “piombo in piedi” non mi è fatto pagare dal tipografo; sì, salato, tutto il resto; perciò anche un minimo di risparmio ha la sua importanza (ma di questi argomenti io non parlo con nessuno perché il pudore della – sia pure relativa – povertà me lo vieta). Il tuo suggerimento, come sempre, è tuttavia gradito, sia che mi sia possibile tenerne conto, sia che no. Quando, però, questo suggerimento diventa insistente e tonante, come nel caso delle lettere liciniane e simili, devi pure rassegnarti ad essere chiamato Padrino.
“Tace sui miei artt. … Segno” ecc. Illazione arbitraria: li ho messi da parte perché non era ancora il momento di leggerli con la dovuta attenzione ecc. Possibile che anche tu non abbia per conto tuo una certa economia di tempo, di lavoro? Ti confesso, purtroppo, che – a parte il centenario scaduto – il dattiloscritto su Andreev lo credevo ugualissimo all’art. sulla “Sicilia”. De quo ti dissi una volta (suscitando il tuo improvviso ed emotivo disdegno) che uno scritto può essere “ottimo” per un giornale e non idoneo per una rivista cosiddetta scientifica.
De Burdinio, credi pure che la sua missiva non ha influito per nulla, sia perché la conoscevo prima di leggerla attraverso una ideale “scheda fisiologica” del medesimo, sia per la santità del segreto confessionale, che in me non ha mai fatto una grinza. /Ti ringrazio del volume capuaniano, che mia figlia tiene ancora a casa sua; ti prego di compensarne la spesa alla prima occasione.
Aff.te al “Don dei Do” s tutto rovescio
[Chiude scarabocchio che sta per] Gino Raya
*
Commentino lacunoso. L’accenno ai miei suggerimenti e al relativo disappunto dinanzi alle ostinazioni del Raya direttore e padrone della rivista trimestrale Biologia culturale (già Narrativa nel decennio 1956-66) spiega lo scherzo del “Signor Padrino” iniziale e del “ ‘Don dei Don’ ” a tutto rovescio” del commiato. In fattispecie, il mio fastidio per le diecine di pagine della rivista dedicate alla riproduzione di lettere spesso di scarso significato culturale o fisiologico, dunque per me sciupate (salvo eccezioni). Non vale la pena di commentare lo scrupolo contabile dell’impeccabile “ragioniere”. Pretendere che io compensassi la spesa per il volume capuaniano (di cui non ricordo la natura) regalatogli e inviato tramite la figlia Nata era un po’ troppo per la mia fobia “tircheriale”. Non inquadro bene nemmeno la presenza del vaglia o contro corrente e dell’assegno di lire 500.000. La più alta probabilità è che sia tratti, nel primo caso, di un contributo al sostentamento dello scrittore Antonio Aniante, in gravi difficoltà economiche, e nel secondo di un rimborso per un anticipo di spesa in conto Raya. L’“obolo” (come scherzosamente lo si chiamava tra noi amici) per il vecchio Aniante veniva realizzato tramite la vendita di volumi rayani ai miei studenti, a prezzi ridotti e con piena libertà di adesione o dissenso. Devo dire che nessuno tra i miei studenti, maschi e femmine, rifiutò mai di acquistare questo o quel libro di Raya. E spesso più di uno. Le somme raccolte venivano spedite (per vaglia postale, per lo più) a Raya perché le inoltrasse all’amico di una vita. A volte incaricavo una delle ragazze o uno dei ragazzi di “fare il vaglia”. Ma anche se lo facevo io, una o più fotocopie delle ricevute venivano affidate a qualcuno di loro: per mia tranquillità verso le famiglie (che non avevano l’obbligo di conoscermi come mi conoscevano gli alunni). Naturalmente, alle somme ricavate dalla vendita agli studenti del mio corso si aggiungeva il mio personale contributo diretto, sempre mediato dall’acquisto dei testi rayani a prezzi di…liquidazione (ne conservo ancora tante copie, in attesa di poterle regalare ai pochissimi amici residuati dalla guerra di Crono). Il cenno ai “liri” verghiani allude alle distrazioni epistolari del Verga, che a volte faceva frettolose concordanze alla siciliana. Il tema alienazione interessò uno scambio di richieste sue e contributi miei: a quel tempo era ancora attuale. Andreev: il riferiemto è a un mio “servizio speciale” apparso sulla Sicilia il 19 novembre del 1979, in occasione del centenario della morte, col titolo Un tuffo nel vuoto universale. Io avevo dilatato il pur ampio testo “siciliano” (sei colonne dell’intera pagina) per una eventuale destinazione biologico-culturale: Raya aveva creduto che il dattiloscritto inviatogli ripetesse integralmente solo il testo della Sicilia. Il “de Burdinio” allude allo scrittorte, e mio amico, Francesco Burdin, del quale recensivo questo o quel romanzo sul quotidiano catanese e altrove. Si coglie nel cenno rayano un sospiro di diffidenza per certa letteratura narrativa. La “scheda fisiologica” era un metodo nuovo di fare critica: non solo nella sostanza argomentativa, ma perfino nella distribuzione visiva della valutazione plurale che quel metodo imponeva: diverse colonne intitolate ai vari aspetti della personalità in esame. Per esempio: Corpo, Cultura, Arte, Stile.

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